Solitamente il lavoro mi porta a star ferma in un luogo vedendo la più varia umanità sfilarmi davanti, spesso con una certa premura, di raggiungere il gate o tornare a casa. In entrambi i casi nel più breve tempo possibile. Ho sempre la sensazione che ci vivano come l'ennesimo "ostacolo" da superare in fretta. Senza faccia e senza identità, un tutt'uno con lo sfondo. È più facile allora per me, come da dietro una quinta, cogliere uno sguardo, un'espressione, un malessere, una imprecazione non proprio sussurrata. Oggi invece una situazione inconsueta mi ha spinta nella spirale del viaggio, a essere risucchiata avanti e indietro lungo la tratta ferroviaria. A condividere il mondo di una sala d'attesa, una banchina popolata di studenti all'ora di pranzo e vagoni stracolmi dei pendolari a sera. A vivere l'ansia di mancare una coincidenza e sperare che un minimo ritardo permetta di salire al volo su un treno. Ai passeggeri, per questa volta all'apparenza rilassati (sarà perché molti si facevano compagnia con un libro) porgevo una scheda che li interrogava sulle abitudini di viaggio, sulla tratta che stavano percorrendo e che chiedeva di assegnare un punteggio da 9 a 1 rispetto a una serie di servizi offerti. I viaggiatori abituali, avendo familiarizzato col sistema, sembravano non vedere l'ora di compilare il questionario per esporre un reclamo, un disappunto, una richiesta (la più simpatica che ho letto: "aggiornate la playlist della musica a bordo"). Più di qualcuno guarda con scetticismo l'operazione "perché alla fine non cambia mai niente"; qualcun altro invece - soddisfatto - ci ha tenuto a fare sapere, a me, forse specchio di un alunna solerte, che aveva assegnato tutti voti alti. Eppure nessuno, se non per noia o stanchezza, ci ha respinto a muso duro. I viaggiatori hanno fiducia, nonostante tutto. E continuano a rispondere se interpellati. Perché forse sperano che le loro voci si sommino e, come gocce una dietro l'altra, scavino in profondità, costruendo. Confesso che a me quelli che ci credono fino alla fine piacciono sempre un po' di più. Anche quando, come me, vengono inevitabilmente delusi. Infine quelli che si distinguono. Si ergono proprio. È il caso di un ragazzo che vedendomi arrivare si è allungato ancora di più sulla sua poltrona. Solo raggiungendolo ho notato che aveva le mani ripiegate sui polsi. La malformazione gli impediva di reggere salda la penna, ma credo che quella roba che hanno imparato a chiamare resilienza gli abbia insegnato come impugnare la sua spada a prescindere. Ed ecco perché della sua scheda della rivalsa ne voleva due. "Una non basterebbe", mi ha detto. Gli ho spiegato che non sarebbe corretto, ma che poteva compilare lo spazio delle note a margine. Quando dopo diversi minuti sono passata per riprendere la scheda mi ha sorriso porgendola e forse per un attimo mi ha vista indossare non una divisa aziendale, ma i panni di un messaggero di giustizia. Ha chiesto ancora se poteva inserire il proprio codice fiscale, per fare sapere che era proprio lui. Ho risposto ancora no, perché l'avrebbe invalidata. Ora io non ho idea come venga gestito il resto del lavoro relativo ai sondaggi, né chi leggerà questo post, ma di una cosa sono certa ed è che ogni sforzo (e se aveste visto il suo sareste d'accordo con me) ha una sua ricompensa. Non so nemmeno se per lui sarà nel medesimo contesto in questo caso. Eppure da oggi so che c'è una forza nuova che si propaga attraverso le parole, e per alcuni inizia da prima, nel gesto di impugnare una penna.
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Alessandra NennaSogno. Archivi
Gennaio 2024
HomeVoce ai personaggi (il podcast del romanzo)
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