Facebook in questi giorni mi ricorda che un anno fa ero in un’isola dell’Oceano Indiano, persa in altre latitudini, di pensieri e temperature.
Tra i fenomeni più affascinanti che ho potuto osservare quello delle maree. Dalle prime ore del mattino fino alle 13 circa, lì il mare regolarmente si ritira. Non tutti i giorni, ma spesso. Abbastanza da far sì che la gente del posto sfrutti questa alternanza al punto di farne un lavoro. La foto che vedete in alto è stata scattata a oltre 1 chilometro dalla riva. Mi ci sono avventurata senza una giusta protezione pensando che le nuvole avrebbero compensato la dimenticanza. Invece evidentemente non era previsto nei loro compiti perché mi sono ustionata l’unica zona che il pareo non copriva, ovvero le spalle. Il proprietario della barca si chiama Jusuf e mi saluta da lontano con un "buongiorno". Non so come abbia fatto a capire che sono italiana, ma non gliel’ho chiesto. Lui invece mi dice che la mia lingua l'ha imparata dai turisti (di necessità virtù). Per fare quella che abbraccia le culture, mi faccio allora tradurre buongiorno in swaili. È una roba lunghissima che inizia, e sottolineo inizia, con "abbarijuraituss". Facciamo così Jusuf, dirò Hakuna Matata e me la metto via. Lui si guadagna da vivere portando in giro i turisti e nei mesi di pioggia va da qualche parte a pesca in un posto a trenta minuti di barca che mi indica col dito (lo dice con la stessa sufficienza di chi ogni giorno si fa un’ora di raccordo anulare, ma il mio stomaco invece mi ricorda i trenta minuti di barca del giorno prima prendendo come paragone due ere geologiche con annesse eruzioni vulcaniche). Sono tornata a guardarmi intorno. Non voglio essere scortese con Jusuf, ma qui in mezzo al mare dove tutto è silenzio sembra mi possano arrivare le risposte che sto ancora cercando. Ci sono dei filari costruiti con legnetti. Le donne, piegate o sedute a mollo, raccolgono qualcosa a pelo d'acqua. «Cosa raccolgono tutte queste donne?» chiedo provando a saziare la curiosità sempre attiva. «Alghe. Vengono vendute ai cinesi e giapponesi». Rifletto sul fatto che quello che per me ora è uno spettacolo affascinante mai visto, per le donne è un momento di lavoro e raccolta, per il mio nuovo amico si traduce in zero incassi. Tutto ha sempre un pieno che compensa un vuoto. La barca è in secca. Lo dico ad alta voce con aria triste. «Hakuna Matata» dice sorridendo. Ho perfino la sensazione che intuisca i miei pensieri perché continua come volesse rassicurarmi: «Aspetto, aspetto e poi il mare torna». L'eterno ritorno spiegato da un pescatore zanzibarino.
0 Comments
|
Alessandra NennaScrivo cose quando ho voglia Archivi |