Da quando ho programmato questa partenza non sono riuscita a rispettare nulla della mia tabella di marcia. Ne sono felicissima perché Valencia somiglia a una bambina di 9 anni, vitale, effervescente, che mi ha preso per mano e portato dove voleva lei.
Il mio ultimo giorno di permanenza a Valencia sono andata al El cabanyal, quartiere a ridosso della marina. Ci si arriva comodamente anche con i mezzi pubblici (io ho preso la metro fino a Benimaclet e poi il tram di superficie numero 4 che circumnaviga tutto il rione finendo la corsa in un'altra stazione della metropolitana). El cabanyal è un posto dalle molteplici identità, tutte adagiate sulle facciate di case basse, due piani al massimo. Sembra un mondo a parte, così silenzioso rispetto a Calle e Avenida della zona centrale con il traffico che vi scorre senza sosta. Solo una cosa ritrovo simile a El Carmen, nella ciutad viella (città vecchia): gli odori. Per strada, nei locali, in prossimità di alcune case, ti raggiunge il profumo di cucina, (proprio quella di casa di cui qualche volta mi lamento a prima mattina), di cipolla rosolata con aggiunta di spezie vagamente dolciastre. La signora (italiana) che gestisce il locale in cui ordino una premuta fresca di arancia dice che sta preparando un soffritto di cipolla, aglio e rosmarino per il suo arrosto con le mele. Qui i ritmi sono lenti, scanditi dagli anziani che passeggiano senza meta e donne che trascinano i loro carrelli per la spesa o si addossano ad altri carrelli per aiutarsi nella deambulazione. Sembra di essere a Malibu guardando la spiaggia larghissima, o all'Havana se si lascia correre lo sguardo verso le casupole colorate. Sarà che il sole rende tutto più accettabile e possibile. Non ci sono cose irrealizzabili in una giornata di sole. In alcune zone sembra di essere su un set abbandonato in tutta fretta. Coppie in tenuta sportiva per la recente corsa sulla spiaggia si alternano a un artista di strada in compagnia del suo cane per cui ha provveduto a stendere una sciarpone per terra per non farlo sedere sulla pietra fredda. Forse è lo stesso che ha lasciato in un angolo una ciotola di plastica piena d'acqua. O che ha dipinto una rivisitazione di Klimt della mamma col bambino. Ho letto da qualche parte che la fiducia ci viene passata attraverso il latte materno. Più tardi andrò a pranzare al ristorante Panorama che consiglia Elena nella sua guida di viaggio, ma di Elena parlerò in seguito. Mi godrò il panorama (in nome omen) e cercherò di fare silenzio, soprattutto dentro.
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