A casa da qualche tempo vige una regola tacita: tutto ciò che non trova immediatamente un suo posto, è un surplus di cui si poteva fare a meno.
Ora, vi sembrerò esagerata, ma è necessario per arginare il mare magnum (soprattutto di oggetti e cibo) che, complice il famoso zio generoso e diversamente ordinato, invaderebbe ogni angolo della casa, compresi alcuni spazi vitali. Da questa mattina lei, (in foto sotto) alberga sul tavolino della veranda (fuori posto, accanto al basilico, creando sicuramente una identità confusa e multipla nell'anguria stessa). Ho soprasseduto la critica sul suo arrivo nonostante non più tardi di ieri ne era stata comprata un'altra metà, ideale per una persona e mezza (la mezza sarei io ché - dolorosamente - non consumo tutta la frutta che vorrei). Quindi speravo che alcune fortunate coincidenze, buchi neri cosmici o altro, allontanassero la suddetta da quel luogo, tra l'altro di intenso traffico. Invece no. Sono appena rientrata e lei sembra aver trovato dimora stabile, in perfetto equilibrio panciuto. È così emersa con naturalezza la versione Marie Kondo dei giorni caotici, come la marea alta a Venezia. - Mamma, possibile che questa anguria non abbia ancora trovato il suo posto nel mondo? - No - mi guarda di sbieco mia madre, probabilmente con la stessa espressione con cui avrebbe voluto fulminare il fratello, reo confesso di non aver resistito all'acquisto. - Non c'è posto - continua col tono di chi ti sta invitando a tacere per il tuo bene. Un po' come nei western in cui quello che sfodera per primo la pistola, inizia il conto al tre e sparo. - Vabbè - propongo conciliante. -La mettiamo sull'altro balcone. - Non ne vale la pena. L'altra è quasi finita. - Ma come! Scusa, ma questa non sappiamo nemmeno come sia. Perché si ostina a comprarle intere quell'altro. - Dai, quella della settimana scorsa era buona. ... ... Quella dell'altra settimana era buona, riecheggia ancora nell'aria mentre assumo l'espressione della seguente emoj. 🙄 - Mamma, mica le angurie sono fatte con il copia/incolla! Control C e Control V - Be', e tu che ne sai! #lamammahasempreragione #anguriegemelle
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Chi mi conosce bene sa che scansiono il quotidiano alla ricerca di segni che diano risposte a quesiti i più vari, dal "sarà arrivato il momento di mettere un po' d'acqua alle piante, al sarà tempo di liberarsi delle remore (sì, proprio quelle che viaggiano accanto agli squali e si cibano dei resti dei loro pasti) e mandarle nel paradiso di Poseidone?
Of course, sta dicendo il Dio del mare, e pure la lampadina dell'applique del corridoio che si accende a intermittenza. Come certi rapporti. Stamattina dovevo pulire una specchiera. Avevo bisogno della luce, ma la lampadina (o meglio il portalampada, già capriccioso da un po') ha deciso di farmi innervosire. Vuole decidere lui quando e perché. E quindi devo essere passata per quella insistente, che proprio non comprende le difficoltà di stare sospeso, in perenne incertezza del quando qualcuno passerà proprio da quel corridoio chiedendo un supporto. Sono ansie che non si curano! Insomma, sono io che ho le paturnie e lui si accende quando vuole. Conclusione: mi ha lasciato al buio quando ne avevo bisogno. Che poi, era una roba di passaggio, non è certo lo sforzo che richiedo alla luce della scrivania. Ecco, in quella racchiudo simbolicamente i nomi di alcune donne della mia vita. Si accendono per me anche di notte. Qualcuno dice che faccio sempre gli stessi errori: scelgo applique che non sono in sintonia con le mie esigenze. E ha ragione. Mia madre solerte ha detto che è arrivato il momento di cambiare tutto. E lo credo anch'io. Meglio restare totalmente al buio in attesa del nuovo lampadario, che sbattere a qualche spigolo per i malesseri di un applique sopravvalutato. Nonostante mi piaccia appellarmi "Marie Kondo" per la naturale inclinazione a eliminare dalla mia vita ciò che ha terminato il suo compito o funzione (vale per cose e persone), cerco di conservare il più possibile. Soprattutto se con queste determinate cose (e persone) ho un rapporto emotivo diverso.
Stamattina è toccato a un paio di sandali. Li ho acquistati a saldo (quelli però che nonostante gli sconti ti costano tantissimo) due anni fa. Confesso che erano stati scelti per praticità più che per gusto. Mi accingevo a partire dopo pochi giorni per Malta e qualcuno mi aveva consigliato delle scarpe comode, basse e con una suola gommata o comunque con una buona aderenza che desse stabilità. Queste avevano tutto, più un tocco di eleganza per le fibie ricoperte di strass. Insomma, dalla diffidenza iniziale e dal pensare che le avrei usate al bisogno, 'ste scarpe si sono rivelate funzionali e resistenti al punto che le ho elette fedeli supporto del quotidiano anche durante la recente vacanza a Zanzibar. Proprio come quelle persone che all'inizio nemmeno te ne accorgi. Certo, sono simpatiche e piacevoli, ma non è che ci usciresti tutti i giorni. Eppure, silenziose e senza pretendere nulla, ti sono accanto in tutti i tuoi passi. E qualcosa te le fa scegliere prima di altre. Le indossi ovunque. Notavo però che da qualche tempo davano i primi segni di cedimento. Iniziavano, per esempio, a perdere gli strass, la presa delle stringhe ad allentarsi, ma la comodità che mi facevano provare mi faceva soprassedere. Sabato pomeriggio, l'attimo prima di mettermi alla guida, la stringa della scarpa destra cede sfilacciata dalla suola. Per fortuna ho in macchina sempre un secondo paio di scarpe (ho sempre un piano b). Non mi arrendo tuttavia. Penso che un buon mastice dal calzolaio possa farle reggere almeno fino alla fine dell'estate. Invece il mio dottore delle scarpe (che ha restituito alla vita già un paio di Albano diventando un porto sicuro per i mie passi incerti) con il sorriso Dotto - proprio quello del più saggio dei 7 nani - ha sentenziato: - Guardi, io potrei anche sistemarle spillando all'interno le stringhe alla suola, ma questa è fatta di gomma piuma che il tempo ha reso meno resistente. Se solo fosse stata di plastica più dura, un tentativo avremmo potuto farlo. Così, le assicuro, si romperebbero nuovamente nel breve tempo perché non potrebbe reggere il naturale movimento del piede. E allora forse la lettura è questa. Qualche volta ignoriamo la sostanza di quelli che ci hanno accompagnato a lungo. Hanno reso veloci e stabili i nostri passi adeguandosi a ogni situazione, ma a un certo punto è la loro stessa natura (di gomma piuma) a mollare. E sta a noi capire che va semplicemente così. Ed è perfino giusto. Nuovi passi hanno bisogno di nuove scarpe. A volte uno esce per riparare un paio di sandali e ripara cuore, cervello e spirito. Ora, se non avessi trovato di seguito chiusa anche la Cartoleria di fiducia a cui affidare una stampa importante e il mio ottico dove ritirare le nuove lenti a contatto, vi assicuro che non avrei dato così valore a tutti questi no. O forse sì. Sono le diciassette e trenta di un afoso pomeriggio estivo. Il suono sordo del citofono reclama attenzione. Mi muovo nella sua direzione.
«Sarà Giovanni», dice una voce spenta alle mie spalle. «Chi è?» chiedo ugualmente sollevando la cornetta. «Giovanni». Dopo pochi minuti dalla rampa di scale vedo emergere lentamente un uomo di mezza statura, dai lineamenti sottili ed eleganti. Indossa una tuta da lavoro macchiata di esperienza. Le scarpe antinfortunistiche pesano e tirano verso il basso il suo sguardo. In venti passi è nella camera da letto. «Ho portato quel tubo per il condizionatore» dice avviandosi alla finestra. Dopo un po’, rientrando, sentenzia: «Ora l’acqua non dovrebbe più gocciolare di sotto». Qualcuno gli sorride riconoscente. Si ferma accanto alla sponda del letto. Ritto come un soldato sull’attenti, analizza qualche istante la situazione. Da ieri non saluta più ad alta voce. Poi, come se tutti eseguissero un rituale noto, gli viene ceduto il posto sulla sedia più vicina. Solleva il braccio inerte dell’omone disteso davanti a lui e lascia che la mano gli si adagi sulla gamba. La accarezza ripetutamente così come fa lo sguardo percorrendo le linee del viso contratto. Restiamo tutti immobili, in silenzio, ad attendere che questi gesti lenti, così simili a una preghiera, provochino un riflesso incondizionato dell’Universo rendendo l’altro meno attaccabile, meno indifeso. È il terzo giorno. Decido di intervenire nella pièce lacerando il silenzio come un buco nel cielo di carta. «Siete molto amici, vero?». Solleva la testa, ma prima che possa rispondere interviene una voce terza: «Sono amici dall’infanzia». «Vuoi qualcosa da bere, Giovanni?» domanda un’altra voce sopraggiungendo. «No, grazie». Nella stanza cala nuovamente la quiete infiammata di attesa. Passano diversi minuti e lui, inseguendo ricordi che lo fanno sorridere, prende a raccontare: «Pensavo... Quando mi diceva di fare una pausa durante il lavoro: “Giovanni, ci prendiamo una birra?” La finiva quasi subito, io no. La mettevo da parte e dicevo: “Mi raccomando, niente scherzi”. Sai che faceva? Finiva anche la mia e dentro ci metteva l’acqua. Tutte le volte! Mi arrabbiavo e lui rideva, rideva… » conclude con gli occhi lucidi. Oggi, al quarto giorno, Giovanni è tornato. I passi che ha dovuto fare per raggiungere l'amico, adagiato in uno spazio insolito e angusto, si sono dimezzati. Ma quella storia deve essergli piaciuta, perché oggi, il suo amico di sempre, rideva. |
Alessandra NennaSogno. Archivi
Gennaio 2024
HomeVoce ai personaggi (il podcast del romanzo)
La storia c'è. Facciamone un romanzo vero Il libro c'è. Voi? 0,18181818 Il titolo che vorrei Rinunce Rapsodia, insieme per resistere. Scrivendo La settimana della "Revolution" Lettere dal passato 1001. Traguardi e nuove partenze OMG... L'ho fatto davvero Sottolineatevi... in verde Storia di una matita rosso-blu... e una gomma Matematica e profumi Il talento BlogDating: ve lo dico con una bio
Lo stupore per le stelle immobili Il cuore e le riserve di sazietà Drusilla, l'unicità dietro la maschera Quello che non (mi ) scende A message in a book La paura ha paura L'ombra della luce La filosofia in una camminata Anche una crepa... La misura della felicità Siamo endiadi a metà Rapporti di platino Di quel paese chiamato Amore De/sidera... pensarsi oltre E se foste un libro da salvare? The great gig in the sky Manuel Vilas, 100 comandamenti più uno La stanza del Mago Ezio Bosso Se avere talento pesa Ma tu, che paura hai? Quando a mancare è il respiro E voi, come vi state proteggendo? L'ulivo che vuole essere preso in braccio Un virus legale e la gioia bambina Fate virale la gentilezza Leandro e le cassette dei sogni da montare La maschera e il volto Somewhere over the rainbow... there's Judy Il saluto salutare Condividete e moltiplicatevi A Natale regalatevi un T.E.A.M. Te lo dico in un vocale Vi svelo un segreto Come un calzino spaiato La fata delle scarpette Maleficent a modo mio Profumi di nuovo Gratitudine. Un motivo al giorno Om... e torno a casa Come avere successo in amore. Forse Parole da salvare Dimagrire. 4 consigli non richiesti Giovanni e la birra annacquata Nuovi passi hanno bisogno di nuove scarpe Riflessioni allo specchio La vita come un applique fulminato Come potenziare la sfiducia negli acquisti on line HappyhandZoombombing aziona circuito di beneficienza
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Cara amica mi scrivo Elogio della lentezza Guerriere senza veli La felicità è un muscolo Pippo e il paradiso di Konrad Lorenz Svegliarsi... altrove Quando il web parla della tua vita Ri-conoscere il passato per dirgli grazie I grassi (saturi) vanno ignorati Amore: un amico speciale che si rinnova ogni tre giorni Alle radici della narrazione A scuola di tolleranza A lezione sul balcone Che un profumo vi annunci Non Ciao, ma Ti vedo dimagrita Ho perso le parole La chiave della felicità Un giorno forse torneremo qua I miei ex fidanzati (immaginari) Scrivere a Babbo Natale Avete tempo per una buona notizia? Dieci cose di me Giardini d'infanzia Gli sguardi dell'Amore Una radio sintonizzata sul futuro C'è molto di te in me Trova le parole per me La blue girl della mia infanzia Gente arcobaleno Venti non anniversari e una valigia senza peso Casa NennaCamminare per rinascere
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