In questi giorni sto leggendo Ogni cosa è collegata, un libro sulla fisica quantistica secondo cui la realtà inizia a esistere nel momento in cui la osserviamo. Ma c’è di più. Perché nel mondo quantico, costituito da onde (di energia? Forse), anche la cosa più inimmaginabile ha una qualche probabilità di accadere. Quando ho letto questa frase ho sorriso sentendomi grata per aver scelto questo libro tra tanti. Pensate a qualcosa che ritenete poco probabile che accada. Per il semplice fatto di averlo creato anzi, osservato con la mente, lo avvia a una possibilità. Ho riso invece, e tanto, nel tornare a vedere Contrattempi moderni di e con Raffaello Tullo. Per la terza volta. Vi state chiedendo cosa non abbia capito delle prime due? Piuttosto sono io a voler sapere come mai non abbiate ancora trovato occasione per vederlo. Intanto perché riesce trasversale a ogni età, ma i bambini, si sa, sono il pubblico più esigente. Quando la platea diffonde le loro risate vuol dire che lì sul palco, il meccanismo funziona. Ci si diverte nonostante il tema, ancorché affrontato con ironia e giocosità, non abbia in sé nulla da ridere. Perché scompone in tanti pezzi come farebbe appunto un bambino con un giocattolo, il progresso tecnologico e le derive della digitalizzazione puntando il dito sulla nostra imperfetta umanità e sull'arte perfettibile del perdere tempo nella totale, o quasi, beata inconsapevolezza. E se la bellezza dello spettacolo dal vivo è data anche e soprattutto dal suo essere effimero e irreplicabile, è tanto più vero quando a farlo è Raffaello Tullo che rimodella, aggiunge, ricrea consegnando, di replica in replica, qualcosa che si avvicina sempre più a ciò che aveva immaginato (parole sue. Per me era geniale alla prima). Non garantisco pertanto su cosa potreste vedere in futuro perché continua a sfornare idee che nemmeno osava immaginare. Sconcerto. No, non è la reazione, ma proprio il nome del nuovo spettacolo che ha già debuttato al teatro Traetta di Bitonto e sarà nuovamente in scena allo Showville di Mungivacca (Bari) il prossimo 20 gennaio. Siamo oltre la fisica quantistica. Cos’è che tuttavia mi ha fatto collegare ciò che ho letto del libro allo spettacolo e ora a una velata malinconia, mentre osservo le luci dell’albero accese per l’ultima sera? Forse che una certa spensieratezza infantile possa essere chiusa negli scatoloni insieme agli addobbi e dimenticata in cantina. O che oggi non abbia più la possibilità di regalare attraverso uno spettacolo a teatro una risata liberatoria, di pancia e di cuore, a qualcuno di molto speciale? Smile, intona la calda voce di Nat King Cole mentre il ricordo di una sera più lontana e molto più calda di quella odierna riporta alla mia mente un breve dialogo.
Sebbene una lacrima sia sempre lì pronta
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(Tratto da una storia - di bucato - vera)
Sapete quanto io sia appassionata di storie d'amore al limite del possibile. Soprattutto quando queste riguardano oggetti inanimati (per voi altri, naturalmente). Perché una parte di me (forse la più sognante e visionaria) è convinta che tutto ciò che esiste abbia un cuore, anzi: un'anima. Qualcosa con un proprio ritmo che si accorda a una armonia più maestosa, né visibile, né misurabile con gli strumenti della logica. Sarà che sono cresciuta cibandomi di storie affollate di gente che veniva trascinata irresistibilmente al soffitto a causa di una ricca e liberatoria risata di pancia mentre in altre prendevano vita pezzi di legno, ma anche teiere, tazzine e candelieri. Incantesimi certo. Eppure ne facciamo di continuo anche noi senza accorgerci. Veniamo all'accaduto. Stanotte, complici vento e previsioni di un cielo sgombro da nuvole, ho fatto il bucato. Quello dei "bianchi" che devono superare prelavaggi, additivi e le centrifughe più dure. Stavolta nel viaggio avevo solo due coppie di calzini. Nonostante assicuri sempre una rete di protezione raccomando loro di tenersi d'occhio; che affidarsi a un filo di cotone è un attimo perdersi. Anche voi ci parlate col bucato prima di metterlo in lavatrice, no? Il carico all'uscita era importante e confesso, l'ora tarda e le raffiche taglienti, hanno reso il momento più gravoso di quanto non immaginassi. Una molletta mi è sfuggita e con lei uno dei calzini. Ho provato a guardare in basso esplorando i confini dei condomini circostanti, ma un vento intenso soffia in un calzino peso piuma come fosse un palloncino e con la stessa forza lo porta lontano in un attimo. Ho guardato triste il superstite e, senza proferire parola, ho provato a immaginare per lui una nuova possibilità con un altro calzino spaiato da tempo. Sono il tinder dei calzini, insomma. Per quel destino avverso che li accomuna ai guanti, i calzini sono nel mondo del bucato i più sensibili e i più soli. Ecco perché spesso resistono appena una manciata di stagioni. La verità è che la loro leggerezza è il frutto di uno sforzo continuo per lasciare indietro passi e pensieri che le persone macinano continuamente nel loro andare in giro per il mondo. Sovrappensiero, mai presenti. Ma questo è un fatto su cui non posso dirvi di più. Ho chiuso la finestra e rimandato tutto al risveglio. Stamattina sul filo c'era uno spazio in più. Mancava il calzino spaiato. Sono certa che la molletta che lo teneva fosse delle migliori, con una presa ben salda. Si è lasciato cadere. Per chi pensa che questa sia solo una stupida fantasia, ho perso un anonimo calzino (e sia). Però mi piace credere che ci siano quelli a cui piacciono le storie, e ancora quelli come me a cui piace parlare al bucato, agli oggetti e tifare per le cause apparentemente perse. A chi, nella sconfinata fiducia si lascia cadere e ha immaginato nel finale i due calzini che si sono ritrovati. Sporchi, ma felici. Di nuovo insieme. In una serata con la percentuale di umidità al 66% (percepita 95) azzero ogni attività cerebrale e scorro senza convinzione e tantomeno concentrazione i profili Dating (sì, proprio quella, l'applicazione che ti mette in contatto con persone a te affini. Ricorda che, se sbaglia, è sempre colpa tua). Ho sempre nutrito verso queste modalità di incontro le stesse aspettative che promettono le bevande ipocaloriche (zero), ma con l'ottimismo che mi contraddistingue, ho pensato al vecchio adagio della nonna (‘stip ca' trov, tradotto: conserva che ritrovi) e mi sono detta che se pure non fossi incappata in un soggetto interessante, avrei comunque arricchito il ventaglio dei personaggi dei futuri romanzi. Quello che proprio non avevo considerato è il divertimento che ne avrei tratto nello scorrere le frasi dei profili (quando ci sono) che, a insindacabile giudizio maschile, dovrebbero definirli. Ora, prima di addentrarmi nella giungla di frasi fatte (“Vivi e lascia vivere” resta il trend di ogni stagione) a cui seguono citazioni da film, canzoni e di guru che fa sempre figo riportare, si arriva al peggio del peggio: gli "orrori" grammaticali. Dunque voglio dire una cosa e la dirò riferendomi agli uomini perché noto essere i più restii a sintetizzare qualcosa di sé in tre righe vuote. Uomini, descriversi non è compilare un curriculum. Ci interessa relativamente dove avete studiato e con quale votazione vi siete laureati. Ci interessa sapere se vi piace il vostro lavoro, se avete voglia di andare all'Ikea a misurare una scarpiera (che sappiate anche montare), se amate gli aperitivi della domenica in spiaggia e se possiamo chiamarvi disperate se abbiamo forato una gomma. Non lanciatevi nemmeno in improbabili complimenti avveniristici del tipo: "per la notte di San Lorenzo ho scelto di portare la stella più luminosa, tu, a vedere le altre". Era il primo messaggio di senso compiuto che riusciva a inviarmi dopo un rimpallo di ciao, buongiorno e buonanotte (tratto da una storia vera, la mia). Ecco quindi a voi un elenco, nemmeno esaustivo, di descrizioni incontrate (è stato sufficiente per non passare al 3D con l'autore). Chiedo agli uomini di essere altrettanto "sfacciati" e magari stileremo insieme, per par conditio, un elenco "rosa". Partirei pertanto con il più indefinito dei casi: Solore. Il t9 l'avrà tradito. Cosa avrà voluto trasferire a noi donzelle ricche di speranza. Che è “solo a ore”, cioè riserva la propria compagnia a quelle poche fortunate che sanno interpretare questo aggettivo, o più facile che uno scambio di vocali abbia sbeffeggiato la sua volontà di dichiararsi splendente come il sole? Meglio allora, per non rischiare fraintendimenti, l'utente Dating che ha preferito scrivere nella sua bio un sintetico Soleggiato. Nel caso si trovi a promuovere, oltre che se stesso, una proprietà immobiliare. Si passa poi al Netflixiano incallito che dichiara: Cerco una serie, così da unire in un unico messaggio la ricerca di una ragazza, ma anche di una serie TV. Speriamo duri più di una stagione. Ci sono quelli che invece colti di sorpresa si affrettano a trascrivere il messaggio più insistente inviato dal loro cervello: Boh! E così, senza nemmeno consultarsi con un amico, un cuGGino, un vicino di casa, ci regalano siffatte perle: Sotto scadenza: Vorrei vivere in frigorifero (non è un uomo. È uno yogurt) Il latinista: Sic et simpliciter (espressione latina che significa “semplicemente così”. Tradotto nella mente di una donna: vai a essere fatto così da un'altra parte) Il conciso: Buona L'acculturato: Alla scoperta del pensiero, da Parmenide ai nostri giorni (dimmi cosa leggi e ti dirò chi sei) Il Militaresco: A testa alta L’entusiasta: Think positive Fast and furious: ho 32 anni. Sono vecchio per flirtare. Cerco solo quella giusta (A 32 anni, vecchio??!!) Ce l'aveva quasi fatta: Semplice, socievole, simpatico, sincero... E allegra (Parla di sé o di ciò che cerca?) Il previdente: al primo appuntamento metti la mascherina Il poeta: l’amore puro in un tepore nuovo di celesti lenzuola: sono i soffici raggi delle pupille tue. (Perché non un concorso dedicato, invece che avvilire povere donne?) Il pragmatico: Cerco una donna con cui convivere. Il religioso: Oh Dio, il tuo amore è così grande e la mia barca così piccola. (Ecco. Rischi di andare a picco) Il traumatizzato: aperto a nuove conoscenze senza complicazioni Groucho Marx (de noialtri): Non vorrei far parte di un club che accettasse tra i suoi membri uno come me. (Questo tipo di frasi va bene per uno spettacolo di cabaret. Screditarvi, anche se con ironia, non incuriosirà la donna). L’ingenuo: Mi fido a pelle (Prevedo pali. Tanti, ma tanti come le stelle che potrebbe vedere) Il modesto: Persona normalissima in tutto (tradotto nel sentire femminile: saprei annoiarti in centinaia di modi sorprendenti) Il nichilista: Nulla (e nulla avrai) L’educato: Ciao (pensano di essere già nello step successivo: la chat) Il positivo: La vita è bella Pirandelliano: Uno, nessuno, centomila (tradotto al femminile: disturbo dissociativo dell’identità) L'incoerente: Essere felici e sorridere. Sempre. (Di solito nelle foto profilo hanno espressioni di rara tristezza) In incognito: Avvocato penalista (foto profilo di un ergastolano che avrà difeso in passato) L'imputato: il resto giudicatelo voi Il raffinato: non sono volgare Deciso: a buon intenditor poche parole Essenziale: sono come mi vedi Puro: vero single Inconcludente: sempre di (come quello che ha scritto sul muro “Mi piaci da mor”) Dritto per dritto: mi piace farlo L'imperdibile: mi serve una bravissima ragazza. Sono singolare (c’era anche il numero di telefono) Semplice, ma mai banale. (Ecco. Perché non iniziare subito?) Una zucca vuota come immagine: amo le belle donne cui piace ricevere massaggi da parte mia (possiamo chiamare, per coerenza, questa tipologia: Lo Zuccone?) Il Curricularo: 9 specializzazioni ecc..Pizzaiolo cheff maitre Barman an. Programmatore CAD cong MEC webmaster (più probabile che trovi il lavoro che l'amore) Il soddisfatto in partenza: sono felice (foto profilo con una prosperosa signora che gli guarda le spalle) Il nostalgico '80: non sono bello, piaccio (Jerry Calà ringrazia per la citazione) Il profeta: chi cerca trova Il prevenuto: no Dio (de noialtri): giudizio divino Quelo (noto personaggio interpretato da Guzzanti): viviamo in una inrealta estremamente reale Senza T9: Una dona ce ama lla vita Il convinto: Credo di essere un bel uomo non mi manca niente (tranne un bel libro di grammatica) E dopo aver scorso a sinistra (che nell’applicazione sottintende una bocciatura) tutto questa ricca umanità, anche l’omino digitale che seleziona profili per me si arrende e dice: Forse non te la senti? Vuoi provare a estendere il raggio di ricerca? (geografica e di età. Solo per 72 ore, precisa). E sia, mi dico. Proviamo. Dopo pochi minuti una nuova notifica. Abbiamo trovato qualcuno che potrebbe piacerti. Riapro l’app. Il mio presunto corteggiatore ha 61 anni e vive a Salonicco. Bye Bye baby. Vi è mai capitato di rendervi conto di essere stati fatti oggetto di una cura quotidiana senza esserne consapevoli? Immaginate qualcosa di impalpabile e per nulla invasivo come può esserlo uno sguardo. Riformulo e spiego meglio. È mai accaduto che abbiate scoperto a posteriori di essere stati oggetto di interesse per qualcuno che poteva osservare da lontano le vostre abitudini, i vostri rituali, le vostre preferenze, e l’ha fatto abbastanza a lungo da coltivare la segreta speranza di riuscire a satellitarvi intorno, diventare parte di quei gesti? Di scene simili ne troviamo a bizzeffe nei romanzi e nei film perché è impagabile l’emozione che si può trasferire al lettore o allo spettatore nel momento in cui, finalmente, la persona oggetto di quelle attenzioni riceve una rivelazione di qualche tipo. Non è una peculiarità di genere, solo femminile o solo maschile, ma di personalità. Forse meglio scomodare la parola sensibilità. Oppure non è vero niente di tutto questo e troviamo invece qualcuno che, colto a sua volta da un moto involontario, si sia concesso di restare a guardare abbastanza nella vita dell’altro da coglierne una bellezza. Poi in verità si tratta di quelle persone a cui viene facile vivere sospese da terra; non troppo, ma quel tanto che basta per impattarla rovinosamente ogni volta che una qualche attività materiale richiede loro concretezza. Non è nemmeno una questione di mestieri o professioni. La mente poetica, dice Hillman, è capace di cogliere in una singola immagine la bellezza; nella ghianda, tutto l’albero e i suoi frutti. Chi si occupa di arte lo sa bene. Eppure a quel livello diverso e profondo possiamo arrivarci davvero tutti: baristi, panettieri, farmacisti, imbianchini; ossia coloro che hanno la possibilità di sviluppare, nella quotidianità di un rapporto, un senso extra creando prossimità, una vicinanza. Una forma di accudimento che ci ricorda l'infanzia, quando non eravamo in grado di gestirci da soli e qualcuno provvedeva a noi. Perché ci meraviglia? Di certo perché inaspettato. Ci sorprende che in un mondo nel quale il passato è tutto ciò che è a sinistra di una storia Instagram della durata di quindici secondi, qualcuno abbia voluto semplicemente fermarsi. Proprio come accade nella notte delle stelle cadenti. A fissare il cielo in cerca dell’evento straordinario. Si potrebbe allora allenare il senso della meraviglia concedendosi di ammirare tutte le stelle che sono lì per noi, ferme sulla nostra testa ogni notte. Non glielo chiediamo, ma loro ci sono e non si stancano di contare tutti i sogni che non abbiamo avuto ancora il coraggio di fare avverare. Le stelle non smettono di trovare in noi un motivo di stupore. L’altro con il suo gesto oltrepassa la soglia del nostro mondo ordinario. Se questo per un verso ci fa sentire più esposti, dall’altro ci aiuta a meravigliarci di nuovo dei nostri pieni, di quanto siamo ricchi di pensieri da condividere, di quanto quel nostro piccolo mondo sia lontanissimo dall'ordinario. La stella che cade è quando riusciamo ad accorgerci che anche l’altro è un universo e al pari c’è una soglia che attraversata, trasforma una piccola, amabile attenzione in un viaggio che non avevamo nemmeno osato programmare. Photo credit Vito Achille È sempre andata così. Quante volte ci troviamo sconfortati e impotenti a osservare l’immobilità delle situazioni che nella nostra vita o in quella degli altri, liquidiamo come immutabili. Basta ascoltare le conversazioni quotidiane, i rimpalli di chat dove ci si affretta a condividere la notizia più negativa in un crescendo ansioso. Un’eruzione di osservazioni malate che come lava incandescente seppellisce anche le buone intenzioni. Non ho le competenze, ma neanche interesse a scomodare i macro argomenti perché, come qualcuno mi ha insegnato, non sono nel mio controllo. Con la mia piccola vita posso al massimo occuparmi di me e se mi avanza, sconfinare verso qualcosa o qualcuno di altrettanto piccolo e vicino. Sono allora partita dalle mie disfatte croniche. Una di queste, per quanto abbia costruito nel tempo divertenti siparietti e ne abbia fatto una pozione di leggerezza da prendere al bisogno, è la mia atavica incapacità di gestire il rapporto col cibo. Ebbene sì, l’ho voluta nascondere così bene che l’ho piazzata bene in vista e in superficie.
Caspita, starete pensando. Sono finiti i post di Casa Nenna in cui, complice una madre del Sud, si può ironizzare sulle fritture (che tanto so’ verdura), sui lievitati (è una torta all’acqua), sulle quantità di brodaglie e passati “passabili” (tanto è acqua). Ovviamente no. Perché in Casa Nenna si continua a spignattare e ci sarà sempre occasione per una gustosa risata. Però che le cose siano andate sempre in un modo non significa che questa sia la loro unica possibilità. Allora occorre dire qualcosa di diverso: le cose vanno come vanno fino a quando non vanno più; una finestra sbatte e quel ciclo si interrompe. Dopo decenni, o anche secoli. Che importa. Abbiamo tutto il tempo. Vorrei potervi parlare di come una sera di marzo, il 21 per l’esattezza, qualcosa si è staccato da me e ho potuto vederlo. In realtà possediamo sempre tutte le informazioni che ci occorrono, ma è come il gioco delle caramelle: si procede per livelli. A nessuna conoscenza si arriva senza averla desiderata e fatto un po’ di fatica per conquistarla. Per rendervi l’idea di quello che è accaduto dovete immaginare come se da un iceberg all’improvviso si staccasse un pezzo che inizia a muoversi in autonomia. Forse i due ammassi di ghiaccio separati sentiranno la reciproca appartenenza, forse quello meno voluminoso è perfino destinato a sciogliersi, ma quello maestoso può finalmente osservarsi. Mica lo sapeva che era composto di tutte quelle molecole di acqua. Certo, se fosse su un livello superiore tutta quell’acqua sarebbe impalpabile come vapore, ma a lui, l’iceberg è toccato lo stato solido, ingombrante. Adesso però, senza un pezzo, gli sembra perfino di muoversi più veloce. A entrambi è estraneo il sentimento della mancanza. Anzi, procedono sazi di gratitudine! Questo è accaduto. Ero prontissima a contattare una nuova e valente nutrizionista. Ma ho trovato molto di più. Ho incrociato le informazioni giuste, i pensieri necessari ad alcuni incastri e qualcuno mi ha spiegato che il cibo ci parla sempre anche di relazioni. Qual è la relazione da sistemare? Quella tra cervello e cuore in primis, ma anche re-imparare ad ascoltare il corpo. Perché il cervello è un saccente iceberg ingombrante che crede di avere le risposte giuste. La verità è che dispone di un vecchio proiettore che ripropone a singhiozzo sempre la stessa pellicola. Il cervello non ha voglia di fare fatica e cercare di rispondere alle esigenze di un corpo che cambia ogni istante e chiede solo che gli si dia ascolto. Che si potrebbe fare? Ignorare il cervello e comprarsi un bel caschetto di protezione, come quelli degli speleologi con il faretto sulla fronte. Munirsi di coraggio e scendere a cercare le dispense più buie del cuore. Lì, ci sono campi non coltivati e riserve di sazietà che ci aspettano. Forse da sempre. #difamesazietà #percorsi #cervellocuore #mindfulness #mindbodysoul Ricorda l’alterigia di Miranda Priestly, interpretata dall’altrettanto sublime Meryl Streep in Il diavolo veste Prada. O forse l’associazione più immediata è tutta in quella scelta di chioma icy white che tocca e risistema di continuo in un vezzo intermittente. Drusilla Foer, al secolo Gianluca Gigo Gori, mi era capitato di conoscerla attraverso la radio, ospite qualche anno fa di Pinocchio (il programma de La Pina su Radio Deejay) dove presentava il suo spettacolo Eleganzissima, che non smette ancora di girare l’Italia (tra l’altro anche in Puglia il prossimo 30 e 31 marzo).
Di teatro ci vive da tempo, è stata scelta da Ozpetek al cinema e da Chiambretti in Tv. Di recente si è conquistata anche una striscia tutta sua in un programma su R101 diretto da Maurizio Costanzo e Carlotta Quadri, per dire. Mi sono persa tutto come Mentana che ha definito “inaspettato” il successo di Drusilla sul palco sanremese. Confesso di aver appreso in ritardo della sua presenza al Festival perché ignoro tutto ciò che lo riguarda. Lo considero un feticcio il cui difetto principe è l’interminabilità. Tutto ciò che richiede la mia attenzione per due sere di seguito è di fatto bannato. Figuriamoci cinque! È lo stesso motivo per cui con estrema difficoltà riesco a guardare le serie tv che si dilungano per più di una stagione. Mi taglio fuori da sola dall’80% dei trend topic, praticamente. Però, incuriosita dai commenti che il popolo social sempre generoso ha distribuito tra entusiasmi e polemiche, sono andata a guardare su Raiplay. In Drusilla ci ho visto il riscatto intelligente di un mestiere costruito dal basso, dalle piattaforme social diversi anni fa, ma che si è sempre cibato di cultura, di confronti e visioni sfaccettate. Figlio di un diplomatico toscano, deve l’effervescente personalità all’integrazione tra l’adolescenza a Cuba e gli anni londinesi o a New York dove gestiva un negozio vintage insieme a uno dei tanti salotti culturali simili alla Factory di Warhol, ma meno imborghesita. Come un apolide che non appartiene ad alcuna terra e le domina tutte. Credo sia questo che abbia contribuito a formare lo spirito critico e la profonda umanità di questo artista che sublima il maschile nel femminile così che il suo messaggio possa raggiungere la maggior parte delle altrui profondità. A Red Ronnie che, in una intervista a Bologna confessava di essere arrivato al suo spettacolo su suggerimento di Gianni Morandi, ma non sapeva nulla del suo percorso artistico, ha risposto: “Sono così felice che lei non sappia niente di me”. Non sapere nulla significa non avere un’idea pregressa, il famoso pre-giudizio. Così lo sono solo i bambini e gli uomini e le donne che si mantengono liberi. A chi continua a sostenere che il palco sanremese dovesse essere totalmente suo, dico no: perché Drusilla ha un unico messaggio e se pure certa che inventerebbe nuovi modi per esprimerlo, non tutte le persone sono pronte per accoglierlo. Diverrebbe come quelle dosi in eccesso di farmaco che si trasformano in veleno e l’organismo prova a espellere. Superba, sagace, mai volgare fino a superarsi in quel monologo finale che, come ha detto Adinolfi, meritava una fascia oraria meno rarefatta di pubblico. Sono così vicina al sentire di quelle parole, soprattutto quelle da sostituire subito, come gli amanti che non funzionano più. Avevo provato anch’io a dire qualcosa di simile qualche giorno fa (qui, per approfondire) e suggerivo l’eliminazione di alcuni modi di dire in uso sì, ma poco adatti alla gentilezza di cui abbiamo bisogno. Sono meno d’accordo con coloro che avrebbero desiderato per l’uomo Gianluca Gori, soprannominato Gigo, di svestire per una volta i panni artistici di Drusilla (e il trucco, quello forse sì, lo odia). Trovo tuttavia che non abbia fatto una grande differenza perché per fortuna, per una volta, quel trucco non è una maschera teatrale e non nasconde la persona, ma ne rivela due. In quel messaggio così autentico Drusilla ha usato la propria voce, quella profonda, ricca di testosterone, ma che parla di paure, di valori e di passato, ancorché difficile, e dice che tutte possono essere sollevate assieme per farle danzare urlando con un’unica voce: Io sono tutta questa bellezza. Cara Drusilla, carissimo Gianluca, non so se nel 2017 quando hai scritto questo post su Instagram hai pensato che un giorno saresti sceso lungo la scalinata del palco sanremese, ma io ti ho visto e tu hai sempre guardato dritto. Quella scalinata te la sei meritata. #sanremo2022 #drusillafoer #unicità #festival #redronnie #giannimorandi #teatro Sapete tutti quanto io abbia un'attenzione a volte maniacale per le parole. Ecco, oggi ho avuto la prova provata che non sempre il rimando di una parola ha per tutti lo stesso significato, ancorché positivo.
Prendiamo per esempio la locuzione "in via eccezionale". Nel caso in questione mi è stata rivolta da una solerte addetta che ha esaudito la mia richiesta di ottenere un appuntamento a una data ora. Ho ringraziato ed è finita lì. Ma ho ringraziato con un coltello (figurato) tra i denti. Secondo voi cosa hanno prodotto i miei pensieri? Cattiva energia. Da un po' di tempo sono convinta con tutta me stessa (comprese le parti in esubero) che il mondo si crea anche con le parole che usiamo. Ecco perché credo sia opportuno iniziare a pensare di sostituirne alcune. In via eccezionale trasferisce un significato di concessione, ovvero "per il potere che mi viene attribuito in questo momento ti concedo qualcosa di irripetibile", una opportunità che cala dall'alto, da un "plus" a un "minus" (quanti hanno pensato alla formula di rito pronunciata durante i matrimoni? Vi sento) Lo so, siamo tutti di fretta e per lo più la gente non ha tempo di favoleggiare sui significati delle parole che usa. Sfuggono, come un impropero se qualcuno ti taglia la strada, come quando segna il punto la squadra avversaria. Lo capisco. Eppure sapete che in uno dei suoi studi Freud raccontava di un suo paziente che impazziva (letteralmente) sentendo pronunciare la parola camicia? Ecco. A me sale il crimine quando sento o leggo "in via eccezionale". Non voglio sostituirmi a un dizionario, né al galateo o tantomeno a un trattato di psicologia, ma non sarebbe più bello sentirsi dire: "Solitamente non accade, ma siamo felici di accontentarla". Dovremo tuttavia impegnarci a dare per acquisito che si riferisca solo a quella porzione di presente. Del futuro chi può essere davvero padrone? Perché sottolineare l'evento straordinario? Forse perché le persone credono che l'eccezione diventi regola. Vero. Allora sono le persone a doversi rieducare a pensare che ogni cosa ricevuta, a partire da un giorno in più di vita, vale solo per quel giorno. Domani chissà. Sì, mi piacerebbe che, in via eccezionale, qualcuno inizi a pensarci e la prossima volta, potendo esaudire una richiesta, un desiderio, ricordi questo mio sfogo inutile. Non c'è un alto e un basso (o meglio c'è, ma non può entrare in un post di Facebook), ma se riuscite a sentirvi felici (davvero) di accontentare qualcuno, quello sì che diviene un vostro potere. Dico di più, un Super-potere, perché la risposta sarà una concreta, altrettanto effimera forse, ma energizzante gratitudine. #mantra #solitamentenonaccademasiamofelicidiaccontentarla |
Alessandra NennaSogno. Archivi
Gennaio 2024
HomeVoce ai personaggi (il podcast del romanzo)
La storia c'è. Facciamone un romanzo vero Il libro c'è. Voi? 0,18181818 Il titolo che vorrei Rinunce Rapsodia, insieme per resistere. Scrivendo La settimana della "Revolution" Lettere dal passato 1001. Traguardi e nuove partenze OMG... L'ho fatto davvero Sottolineatevi... in verde Storia di una matita rosso-blu... e una gomma Matematica e profumi Il talento BlogDating: ve lo dico con una bio
Lo stupore per le stelle immobili Il cuore e le riserve di sazietà Drusilla, l'unicità dietro la maschera Quello che non (mi ) scende A message in a book La paura ha paura L'ombra della luce La filosofia in una camminata Anche una crepa... La misura della felicità Siamo endiadi a metà Rapporti di platino Di quel paese chiamato Amore De/sidera... pensarsi oltre E se foste un libro da salvare? The great gig in the sky Manuel Vilas, 100 comandamenti più uno La stanza del Mago Ezio Bosso Se avere talento pesa Ma tu, che paura hai? Quando a mancare è il respiro E voi, come vi state proteggendo? L'ulivo che vuole essere preso in braccio Un virus legale e la gioia bambina Fate virale la gentilezza Leandro e le cassette dei sogni da montare La maschera e il volto Somewhere over the rainbow... there's Judy Il saluto salutare Condividete e moltiplicatevi A Natale regalatevi un T.E.A.M. Te lo dico in un vocale Vi svelo un segreto Come un calzino spaiato La fata delle scarpette Maleficent a modo mio Profumi di nuovo Gratitudine. Un motivo al giorno Om... e torno a casa Come avere successo in amore. Forse Parole da salvare Dimagrire. 4 consigli non richiesti Giovanni e la birra annacquata Nuovi passi hanno bisogno di nuove scarpe Riflessioni allo specchio La vita come un applique fulminato Come potenziare la sfiducia negli acquisti on line HappyhandZoombombing aziona circuito di beneficienza
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Cara amica mi scrivo Elogio della lentezza Guerriere senza veli La felicità è un muscolo Pippo e il paradiso di Konrad Lorenz Svegliarsi... altrove Quando il web parla della tua vita Ri-conoscere il passato per dirgli grazie I grassi (saturi) vanno ignorati Amore: un amico speciale che si rinnova ogni tre giorni Alle radici della narrazione A scuola di tolleranza A lezione sul balcone Che un profumo vi annunci Non Ciao, ma Ti vedo dimagrita Ho perso le parole La chiave della felicità Un giorno forse torneremo qua I miei ex fidanzati (immaginari) Scrivere a Babbo Natale Avete tempo per una buona notizia? Dieci cose di me Giardini d'infanzia Gli sguardi dell'Amore Una radio sintonizzata sul futuro C'è molto di te in me Trova le parole per me La blue girl della mia infanzia Gente arcobaleno Venti non anniversari e una valigia senza peso Casa NennaCamminare per rinascere
Evolvete, ma portatevi dietro il cellulare A prova di decreto Conta che ti passa Re Magi. Quando arrivano, arrivano Manic Monday Meucci contro Zuckerberg Angurie gemelle Il pittore e i biscotti "5 stelle" Incontrare l'Amore al Supermercato Come ti addobbo una cheesecake Valencia a modo mio |