Tra i millemila input quotidiani oggi mi sono lasciata attrarre da un’immagine che sulle prime stava scivolando sul fondo con le altre. VASETTI DELLE PAURE, il titolo.
Ventotto vasetti, disposti su più file, elencano paure, dalle più ataviche come il buio, la morte, l’invecchiare, il fallire, l’abbandono, ad altre più contemporanee come l’ansia sociale e il parlare in pubblico. Stavo passando oltre, ma l’idea di “giocare con le mie paure”, di interrogarmi, ha fermato la mia corsa social. Ho così indagato quelle di chi postava l’immagine scoprendo l’affinità con gli insetti (che scritta così sembra io abbia stretto amicizia con gli insetti e in senso lato sì, perché da tempo anziché ucciderli li invito semplicemente a mantenere la distanza sociale. Dal 4 maggio, per brevità, considererò tutti insetti). Il passo successivo previsto dal giochino, era condividere l'immagine taggando i nomi di chi si invitava ad analizzare e svelare le proprie, di paure. Ho scoperto che comune a molti c’è l’annegare, anche tra chi pratica con regolarità sport acquatici (ed è, mi hanno spiegato, un modo per avvicinare i propri limiti, per guardare oltre e, forse, ridimensionarsi). Vero che ci siamo illusi di aver sfidato e vinto gli elementi, ma in fondo sappiamo che né il transatlantico più grande, né l’aereo più affidabile potranno nulla contro una Natura che si ribella. Siamo ancorati alla terra, invece. Così inesorabilmente intrecciati alle radici del Pianeta che adesso esige il pagamento dei danni, come per un affittuario irresponsabile che ha fatto bisboccia tutte le sere distruggendo e sporcando. Per quanto riguarda me sono stata capace di immaginare paure che non sono contemplate come perdere la vista e la memoria. Senza memoria smarrirei emozioni, ricordi, dovrei ridefinire perfino i miei limiti. Senza vista dovrei rinunciare al piacere immenso della lettura, del smarrirmi in una frase composta così bene da giungermi come melodia. Gli audibili non sarebbero mai la stessa cosa perché il tempo della lettura automatica non è quello della meta-lettura che procede per associazioni di immagini e anticipa o rallenta rispetto al testo. Mi fanno paura i germi (anche prima del virus). Sono un po’ “maria pezzetta”. Stare in un ambiente ordinato e pulito mi acquieta. Insieme alla già citata paura di annegare, mi allineo tra quelli che hanno paura di perdere chi amano. Parlo proprio dei pezzi di cuore, non il fidanzato o la relazione di turno. Così, seguendo la voce frettolosa della mente, ho riempito quel vasetto col colore fucsia, quello delle emozioni intense. Poi “maria pezzetta” si è inerpicata in alto e nello spazio improvvisamente angusto della mia mente (gli spazi stretti sono contemplati tra le paure infatti) ha aperto finestre e fatto circolare altri saperi. Ha iniziato a circolare la certezza che non perdiamo nessuno. Mai. A ben vedere non perdiamo nemmeno quelli che non ci piacciono. Solo il perdono li mette a tacere per sempre. Tuttavia, per tornare a concentrarci sul dolore e la paura della perdita, sappiate che ricordando il passato, il sentimento (che l’emozione è evanescente) e la persona a cui quel momento è legato, tutto torna energeticamente a vivere. La morte fisica porta via abitudini, respiri e presenza, ma pare sia illusoria anche quella. Tutto è così vicino che basterebbe allungare un braccio per accarezzare qualcuno. Fatelo se avete voglia. Certo, ci sono le paure che ci salvano tipo quella del fuoco; non avvicinarcisi troppo è sempre consigliabile. Così pure non direi mai a qualcuno che soffre di vertigini e ha problemi di equilibrio di farsi scattare una foto sulla punta di uno strapiombo. Però la volontà e una buona motivazione aiutano. Qualche anno fa, nell’elenco delle mie prime volte, c’era il “nuotare con i delfini”. Ora, l’acqua non è esattamente l’elemento in cui mi sento più a mio agio, ma questo desiderio superava tutti i timori. Grazie a un amico che in quel momento viveva a Malta ho realizzato non solo il desiderio, ma anche la mia autostima ne ha beneficiato perché l’addestratrice mi ha affidato per qualche minuto la pratica con un delfino. Lui, il delfino, doveva seguire i miei comandi e l'ha fatto: si è fidato completamente di me. Ora, poco importa che gli ho dato il comando sbagliato ed è rimasto immobile a bordo vasca mentre guardava partire i suoi compagni che si esibivano in acrobatiche piroette, ma lui ha avuto fiducia che io sarei stata all’altezza del compito. Dunque spesso, spessissimo, il mondo è disposto a credere in noi se solo osassimo farlo anche noi. Penso alla paura di parlare in pubblico o a tutti i progetti non iniziati per paura di fallire ed essere giudicati. Chiudiamo simbolicamente le nostre paure in questi barattoli dopo averle individuate. Possiamo osservarle da vicino e distinguere tra quelle che ci salvano e quelle che limitano. Cosa? La possibilità di scoprire chi potremmo diventare mentre tentiamo di superarle.
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Alessandra NennaSogno. Archivi
Gennaio 2024
HomeVoce ai personaggi (il podcast del romanzo)
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