La parola di oggi è TALENTO.
Un talento è, nella considerazione comune, qualcosa che riusciamo a fare con facilità. Frequentemente la si associa alle arti e indica qualcuno che nasce con un dono. Un ballerino, un cantante, uno scrittore “talentuoso”, si dice spesso. Eppure anche in quel caso sono propensioni, caratteristiche che se non accompagnate da pratica, lavoro e un pizzico di fortuna, potrebbero facilmente tramutarsi in rinuncia. Accade molto più spesso di quanto non si pensi. Siccome subisco sempre il fascino dell’etimologia, sono andata a cercare anche l’origine della parola talento. Ho imparato che il talento era una moneta in circolazione fin dai tempi di Gesù, ma anche un’unità di misura. Nell’antica grecia per esempio aveva perfino un peso; un talento equivaleva a circa 26 kg di argento puro. Si pensi che intorno al 400 a.C. la paga di un lavoratore corrispondeva a 11 grammi di argento al giorno. Un talento valeva dunque circa 6 anni di lavoro. Senza nemmeno le ferie, il TFR e la cassa integrazione. Per motivi che non starò a raccontarvi, questi giorni mi ci stavo arrovellando sulla parola talento. Devo essermela macinata così tanto dentro, sopra e di lato, che l’Universo non ne ha potuto più di questa ruota e piuttosto che continuare a vedermi correre come un criceto nella sua gabbia, mi ha mandato qualcuno a rispondermi. Alla fine di due ore di chiacchierata ho riconsiderato quello che sapevo del talento. Non è un microchip che ti inseriscono prima di nascere e che magicamente ti dona un “saper fare” qualcosa senza che questo implichi uno sforzo eccessivo. Certo accade per alcune delle potenzialità "in luce". La maggior parte pensiamo di averne pochi, di talenti, qualcuno di esserne del tutto sprovvisto perché magari non fanno roteare per aria cinque birilli sulla testa, non danzano leggiadri o operano a cuore aperto. Alcune abilità speciali valgono per professioni speciali, ma tantissime persone normali, me compresa, abbiamo ancora numerose cose che facciamo con una relativa facilità, ma non ci piace fare. Anzi, le odiamo proprio. Mentre la vita - a cui piace prenderci in giro - continua a riproporcele. Pensiamo per esempio a chi ha il classico pollice verde capace di ridare vita anche a una piantina ridotta a un esile stelo sofferente. Non ne farebbe mai un lavoro perché il suo sogno è fare l’insegnante, ma accetta di curare le piante che le vengono affidate perché non è capace di rifiutare. Quanto cambierebbe la sua prospettiva se si rendesse conto che è un magnifico talento che le permette di ricevere gratitudine imperitura da chi credeva quella piantina spacciata e a cui per una qualche ragione sconosciuta era legata? Questo pare significhi cercare i propri talenti al contrario, ovvero esercitando caratteristiche e potenzialità nell’ambito delle cose che ci stanno un po' sul naso. Certo, abbiamo sempre la scelta e rifiutare del tutto, ma sotto quanti gesti ordinari abbiamo seppellito la nostra unicità? Penso a Marie Kondo, la giovane imprenditrice giapponese che ha fatto della mania dell’ordine una professione di successo. Penso a me che a lungo mi sono chiesta perché fossi finita in un posto strambo, ad accogliere viaggiatori di passaggio. Eppure di tanto in tanto qualcuno di loro mi ha ripagato con una storia meravigliosa. Forse anche l’empatia è un talento. Mi danno perfino uno stipendio per esercitarmi. A proposito di storie. Oltre venti giorni fa un’amica mi chiede un consiglio di lettura "al volo" per il figlio adolescente che avrebbe dovuto, come compito, scriverne o discuterne la recensione. Solo sette giorni per leggere (qualcosa di estremamente ridotto, era la richiesta prioritaria) e produrre qualcosa di dignitoso. Senza pensarci troppo faccio il titolo di un libro che mi rigirava in testa da giorni, avendone parlato anche con una libraia a caccia di "piccolini" (leggasi libri brevi o brevissimi). Oscar e la dama in rosa è un librino datato, di Éric-Emmanuel Schmitt. Ideale per un lettore svogliato e scrigno prezioso (a mio avviso) per ritrovare, anche in giorni confusi come questi, una riflessione sul tempo perché il protagonista di anni ne ha solo dieci e il suo tempo ha preso un'accelerata non da poco. Per incuriosire il mio lontano interlocutore devo aver scelto la citazione sbagliata perché mi è stato riferito “troppo religioso”. Tuttavia deve essere stato ritenuto un compromesso accettabile se distribuito su sole 44 pagine. Ho così atteso anch’io il risultato dell’interrogazione, ma alla data prevista l’insegnante è semplicemente passata oltre. Sono rimasta delusa più del ragazzo perché l’ho immaginato inerpicarsi su per i sentieri di parole (che quando una roba ti pesa è peggio che scalare una montagna, lo so bene) senza che nessuno si rivelasse curioso di conoscere un parere sul panorama visto da lassù. Poi ieri, proprio mezz’ora prima di iniziare il mio approfondimento guidato sul “talento” mi arriva un vocale in cui, a metà tra sorpresa e divertita, l'amica racconta che non solo l’insegnante si era ricordata del compito ormai scaduto, ma è rimasta folgorata dalla scelta perché guarda caso, quel piccolo romanzo è anche tra i suoi libri preferiti. Ora io non so se questa roba qui posso inserirla nella mia cartella personale “talenti” perché il piacere di leggere e parlare di ciò che leggo non l'ho mai considerato un dono, ma confesso il piacere di essere stata d'aiuto a recuperare un buon voto e la considerazione di questa professoressa inizialmente scettica verso la naturale chiusura adolescenziale del suo alunno. Per qualche ora questa professoressa lontana ha neutralizzato il senso di colpa di avere e (continuare ad acquistare) più libri di quanti io riesca effettivamente a leggerne. A dodici anni sapevo disegnare come Raffaello, però ci ho messo tutta una vita per imparare a dipingere come un bambino.” (Pablo Picasso)
2 Comments
Mina
5/6/2020 08:45:58
Leggere quello che scrivi è sempre bellissimo
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Alessandra
5/6/2020 11:05:22
Grazie
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Alessandra NennaSogno. Archivi
Gennaio 2024
HomeVoce ai personaggi (il podcast del romanzo)
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