È sempre andata così. Quante volte ci troviamo sconfortati e impotenti a osservare l’immobilità delle situazioni che nella nostra vita o in quella degli altri, liquidiamo come immutabili. Basta ascoltare le conversazioni quotidiane, i rimpalli di chat dove ci si affretta a condividere la notizia più negativa in un crescendo ansioso. Un’eruzione di osservazioni malate che come lava incandescente seppellisce anche le buone intenzioni. Non ho le competenze, ma neanche interesse a scomodare i macro argomenti perché, come qualcuno mi ha insegnato, non sono nel mio controllo. Con la mia piccola vita posso al massimo occuparmi di me e se mi avanza, sconfinare verso qualcosa o qualcuno di altrettanto piccolo e vicino. Sono allora partita dalle mie disfatte croniche. Una di queste, per quanto abbia costruito nel tempo divertenti siparietti e ne abbia fatto una pozione di leggerezza da prendere al bisogno, è la mia atavica incapacità di gestire il rapporto col cibo. Ebbene sì, l’ho voluta nascondere così bene che l’ho piazzata bene in vista e in superficie.
Caspita, starete pensando. Sono finiti i post di Casa Nenna in cui, complice una madre del Sud, si può ironizzare sulle fritture (che tanto so’ verdura), sui lievitati (è una torta all’acqua), sulle quantità di brodaglie e passati “passabili” (tanto è acqua). Ovviamente no. Perché in Casa Nenna si continua a spignattare e ci sarà sempre occasione per una gustosa risata. Però che le cose siano andate sempre in un modo non significa che questa sia la loro unica possibilità. Allora occorre dire qualcosa di diverso: le cose vanno come vanno fino a quando non vanno più; una finestra sbatte e quel ciclo si interrompe. Dopo decenni, o anche secoli. Che importa. Abbiamo tutto il tempo. Vorrei potervi parlare di come una sera di marzo, il 21 per l’esattezza, qualcosa si è staccato da me e ho potuto vederlo. In realtà possediamo sempre tutte le informazioni che ci occorrono, ma è come il gioco delle caramelle: si procede per livelli. A nessuna conoscenza si arriva senza averla desiderata e fatto un po’ di fatica per conquistarla. Per rendervi l’idea di quello che è accaduto dovete immaginare come se da un iceberg all’improvviso si staccasse un pezzo che inizia a muoversi in autonomia. Forse i due ammassi di ghiaccio separati sentiranno la reciproca appartenenza, forse quello meno voluminoso è perfino destinato a sciogliersi, ma quello maestoso può finalmente osservarsi. Mica lo sapeva che era composto di tutte quelle molecole di acqua. Certo, se fosse su un livello superiore tutta quell’acqua sarebbe impalpabile come vapore, ma a lui, l’iceberg è toccato lo stato solido, ingombrante. Adesso però, senza un pezzo, gli sembra perfino di muoversi più veloce. A entrambi è estraneo il sentimento della mancanza. Anzi, procedono sazi di gratitudine! Questo è accaduto. Ero prontissima a contattare una nuova e valente nutrizionista. Ma ho trovato molto di più. Ho incrociato le informazioni giuste, i pensieri necessari ad alcuni incastri e qualcuno mi ha spiegato che il cibo ci parla sempre anche di relazioni. Qual è la relazione da sistemare? Quella tra cervello e cuore in primis, ma anche re-imparare ad ascoltare il corpo. Perché il cervello è un saccente iceberg ingombrante che crede di avere le risposte giuste. La verità è che dispone di un vecchio proiettore che ripropone a singhiozzo sempre la stessa pellicola. Il cervello non ha voglia di fare fatica e cercare di rispondere alle esigenze di un corpo che cambia ogni istante e chiede solo che gli si dia ascolto. Che si potrebbe fare? Ignorare il cervello e comprarsi un bel caschetto di protezione, come quelli degli speleologi con il faretto sulla fronte. Munirsi di coraggio e scendere a cercare le dispense più buie del cuore. Lì, ci sono campi non coltivati e riserve di sazietà che ci aspettano. Forse da sempre. #difamesazietà #percorsi #cervellocuore #mindfulness #mindbodysoul
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Alessandra NennaSogno. Archivi
Gennaio 2024
HomeVoce ai personaggi (il podcast del romanzo)
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