Ho un’amica che salva libri. Certo, di cose da salvare è pieno il mondo e qualcuno obietterà che alcune degne di note sono perfino più importanti e urgenti. Si potrebbero salvare gli alberi, le case della nostra infanzia con intatto il loro contenuto, gli animali abbandonati, chiavi, ombrelli e elettrodomestici pigri; si potrebbero salvare i ricordi, le emozioni trattenute, tenerle un po’ con sé e vedere se è poi il caso di confessarle, o lasciare che si perdano, accumulate sotto pile di entusiasmi e meraviglie che si svelano tra un delirio alcolico e un tramonto. Si potrebbero salvare tutta l’arte che non finisce nei libri di testo e nemmeno nella memoria dei dispositivi elettronici perché se non ne riconosci la bellezza, al di là della notorietà, semplicemente quell’opera d’arte non la vedrai e passerai oltre.
Ecco, qualche mattina fa la mia amica, passeggiando per un mercatino dell’usato ha notato un piccolo saggio nel cui titolo c’era la parola “relazione”. Sarà stata quella a fare breccia nella sua attenzione? Può darsi. Fatto sta che ha raccolto il libro dal cestino di quelli che regalavano perché destinati al macero. Si rammaricava pensando all’autore, “Se sapesse”, mi diceva. “Cosa penserebbe di questo suo libro, bello al punto che l’ho già quasi terminato. Perché in fondo un libro non pubblicato conserva intatte le sue possibilità, ma un libro pubblicato e non capito è quanto di peggio possa capitare all’autore”. Un libro non compreso in effetti è un’opportunità mancata. Per chi? Per chi non ha apprezzato le parole e l’intenzione di un messaggio che evidentemente non è riuscito a raggiungere il precedente possessore. Di chi è la colpa? Dell’autore che non è stato abbastanza incisivo, convincente, emozionante o del lettore che forse non aveva i codici giusti per decodificare il contenuto? Proprio come se avesse dovuto leggere in una lingua che non pratica e ha preferito rinunciare perché l’interpretazione, quella oltre il significato delle parole, costerebbe sforzo. Esistono colpe imputabili per tutto ciò a cui rinunciamo senza capire? E poi un libro cos’è. Un insieme di pagine (più o meno curate e pregiate) su cui qualcuno, credendoci, ha impresso un messaggio. Il fatto che sia stato abbandonato come qualcosa di non necessario non cambia l’idea dell’autore, né a lui gliene viene danno perché il libro ha una vita propria e se ne va in giro per il mondo libero di piacere oppure no. Proprio come le persone. Mi piace perfino pensare che altre copie abbiano avuto più fortuna e se ne stia su mensole affollate a pascersi dei discorsi tra un Eckhart Tolle della terza mensola con un Castaneda della prima. Ho pensato invece a quanto le persone siano così simili a dei libri, per quella loro intrinseca capacità di portarsi appresso la propria storia. Siamo spesso per gli altri libri non capiti. Riceviamo una scorsa, riserviamo lo stesso trattamento: una veloce lettura o peggio, solo l’attenzione di poche pagine per decretarne un giudizio complessivo. Quello che non capiamo nei libri ha la stessa sostanza di ciò a cui frettolosamente rinunciamo. Molto di noi rivela il nostro agire, di ciò che non siamo pronti a leggere, più che degli altri, in noi stessi. Allora, proprio come un libro fortunato raccolto da un cestino, auguriamoci di finire nelle mani giuste, sotto lo sguardo curioso e attento di chi saprà leggerci oltre e ci conserverà tra i libri irrinunciabili, tornando di tanto in quando a sfogliare la nostra vita per vedere se per caso, ora ci trova un significato diverso. “Esaminate ogni cosa e trattenete ciò che è buono” (Paolo Di Tarso).
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Alessandra NennaSogno. Archivi
Gennaio 2024
HomeVoce ai personaggi (il podcast del romanzo)
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