Ho perso tante cose e persone nella mia vita, ma non credevo si potesse perdere una voce. Di te ho cancellato più o meno tutto, ma le parole no. Quelle ho cercato di conservarle fin da subito, da quando mi hanno sorpreso per essere più prolisse delle mie. Credevo di esserci riuscita. Credevo di essere stata attenta. Credevo non sarebbe accaduto. Le mie convinzioni mi tradiscono continuamente. Ho smarrito anche noi per una convinzione di troppo. E infine ho perso anche le parole, le mie e le tue. Me ne sono accorta per caso, qualche mattina fa, mentre leggevo lo stralcio di un consiglio. Che, per una beffa estrema (la vita si diverte a disseminare segni nelle lezioni che impartisce), era quello di provare a conservare i nostri tentativi di bellezza, oltre il momentaneo bisogno di silenzio o volontà di cancellare quello che pensiamo sia la causa della nostra infelicità. Mi era sembrato un valido suggerimento, ora come allora. Ero perfino convinta di averlo messo in pratica, avendo conservato del tuo passaggio dalla mia vita, le suggestioni migliori. Ho invece rotto il mio cielo di carta cliccando su una nota audio a caso. Un avviso sullo schermo mi ha detto che il file non era più presente nella memoria. Ho continuato a salire nella conversazione cliccando a caso mentre il messaggio si ripeteva sterile. Naturalmente ho perso le parole a cui tenevo di più: quelle dei vocali. Perché in una voce, se torni a riascoltare, ci trovi i dettagli, le scorie di personalità considerate ininfluenti, lasciate andare insieme alle risate poco trattenute, ai toni incerti e ai silenzi colmi di sottintesi. Credevo di essere riuscita a trattenere di te almeno quella, la voce, giocosa e leggera, apparentemente, più delle parole scritte. Affidate a una nuvola virtuale incapace però di discernere e che, all’arrivo di un vento nuovo, ha lasciato che tutte le migliaia di onde sonore immagazzinate si disperdessero in un etere irraggiungibile. Dove vanno i vocali che non hanno più supporto, di memoria di archivio e di volontà di essere ascoltati? Forse in un limbo spazio temporale dove si lasciano cadere in buchi neri attraversando galassie di possibilità mancate. Ho provato a rileggere le parole che restano e mi sono divertita come la prima volta. Sarebbe bello se lasciassimo sempre di noi parole capaci di evocare emozioni inviolate dalle screpolature del tempo. Eppure, oggi mi piace pensare che in fondo quelle voci non siano state davvero perse, ma sottratte da una musa in difficoltà che li ha mescolate come farebbe un abile croupier per darle una vita nuova, tra le pagine di un libro, in una storia che ha ancora voglia di essere raccontata.
0 Comments
L’oroscopo di Rob Brezsny di questa prima settimana del 2020 mi suggeriva di prendere commiato da alcune cose che non servono più. Qualcuno pensa che io creda agli oroscopi (e glielo lascio pensare perché sforzarsi oltremodo quando non si è pronti è rischioso). In verità adoro le suggestioni di Rob che con metafore e citazioni in prestito, suggerisce autori di libri e musica, canzoni e poesie, ma soprattutto aziona – per chi ne coglie la sfida – la capacità di immaginare connessioni tra ciò che profetizza e una qualsiasi realtà concreta della propria vita. Farcela potrebbe avere a che fare con la ricerca della felicità. Mi è piaciuta molto l’idea che io possa, in questi molteplici salti circadiani di inizio anno, prendere commiato, tra le altre, da convinzioni, aspettative deluse e persone che non mi apprezzano per ciò che sono veramente. Quale modo migliore di farlo se non attraverso la scrittura? Una lettera di addio definitivo a una me poco sicura, troppo disponibile ad arginare, desiderosa di conferme. Lo sono stata. Forse decenni. Proprio mentre mi godevo la consapevolezza di aver vissuto una giornata ricca di emozioni, un’amica mi scrive. Insolitamente per lei, a tarda sera. Così come molto poco riusciamo a incontrarci al punto che – in oltre trent’anni – si è reso necessario elaborare modalità sempre diverse di connessione. Questa volta lo snodo è stato un punto sul suo pezzo di cuore eterno: sua figlia. Coinvolta per un “consiglio d’amore” per una donna molto più giovane di noi. Quello che mi ha stranito è che lei abbia visto in me una efficace consulente d’Amore. Io che per buona parte della mia vita ho percorso le strade opposte, chiudendomi tra le mura prefabbricate di storie impossibili, negando l’amore soprattutto verso me stessa. Lei invece è quella che ha scelto il pacchetto all inclusive (mamma, moglie, professionista) e da amica – in oltre trent’anni – ha saputo spesso esprimersi su di me con tale precisione che ogni tanto le sue frasi me le rigiro in testa chiedendomi da dove le sia nata all’epoca tanta lungimiranza. Eppure in questo caso sentiva di poter fallire, forse perché quando si cercano soluzioni per qualcuno che ci è seduto soprae che si ama, difficilmente gli si vuole far fare la fatica di alzarsi. L'altro motivo, ammissione tardiva, è che quando parla con quella donnina più giovane mi pensa tantissimo perché in lei vede la mia libertà. Bingo. In una notte a inizio 2020 ho vinto un affare imprevisto che chiama a rapporto il passato e il futuro. Vengo così a conoscenza della storia di un giovane uomo che dopo un anno di relazione riceve un messaggio da una ex (a suo modo importante, parecchio, ma tre anni prima) al punto che lui inizia a dedicarle gli spazi virtuali di una chat. La giovane donna non lo tollera e si ribella. Poi il cuore reclama la sua parte. Ho lasciato da parte le gioiose consapevolezze della mia giornata e ho scartabellato nell’archivio personale tra le cartelle dei consigli ricevuti in ritardo, poi tra gli errori commessi contro ogni logica, delle speranze costruite su frasi che sarebbero state adatte più agli Imprevisti e le Probabilità del Monopoli, il gioco, che a un dialogo tra esseri umani. Ho sentenziato che un dignitoso silenzio in cui ciascuno ritrova le proprie priorità sia l’unica strada percorribile. Vengo distratta da qualcuno che bussa con veemenza alla porta della stanza. Dietro ci trovo, braccia conserte, il cuore dei miei vent’anni. Non ho fatto in tempo ad avere alcuna reazione che è partito un CIAFFF! Una sberla come nei meme di Batman e Robin. Sono tornata alla chat e ho ammesso che andare contro-cuore è doloroso. Tuttavia anche quando ci sembra impossibile vivere senza la quotidianità di un amore che crediamo unico, sentirsi amati a metà è una agonia lenta. Piuttosto senza. Senza è quello che ho scelto io a 26 anni. A quel punto sono andata a sbirciare con cautela dietro la porta. Il mio cuore non c’era più, ma al suo posto ho trovato una chiave. Mi ha ricordato quella di un’altra porta, quella di ingresso di un appartamento lasciato in una notte di giugno con un consiglio che oggi porto appeso al collo: "non avere mai paura". A questa giovane donna, se avessi potuto parlare direttamente, avrei detto oggi adulta e col cuore annientato in tante battaglie, di non avere paura di lasciare andare qualcuno che non ci dà il giusto peso, perché è togliere l’etichetta “Amore” da un cuore che non ci vede, non vede la nostra unicità. Conosco tante donne (e uomini, soffrono anche loro) protette nelle torri d’avorio dei loro amori impossibili e rassicuranti. Perché non essere voluti cede parecchia della nostra responsabilità agli altri. E allora sì, riguardandole come attraverso i fotogrammi di un film, e prendendo commiato dai finti castelli fatati della mia vita, sento di suggerire almeno tre soluzioni più economiche di una seduta dallo psicologo: 1) Un aperitivo con un'amica da trascinare eventualmente in libreria per il punto due; 2) Acquistare il libro “La principessa che credeva nelle favole. Come liberarsi del proprio principe azzurro”. Oppure passare direttamente al seguente: 3) Un nuovo paio di scarpe. I punti 2 e 3 possono (ed è auspicabile) realizzarsi anche in autonomia. Perché qualche volta la solitudine dipana le nebbie dei nostri pensieri vorticosi mostrando ancora una porta, l'ultima, proprio quella che pensavamo non esistesse per noi e quindi finora non avevamo visto. È quella della felicità, e noi ci portiamo appresso la chiave da tempo. Avete mai fatto da piccoli quel gioco di immaginarvi in un'età diversa e adulta? Io spesso. In particolare con una persona con cui ho letteralmente diviso la culla. A 10 anni immaginavamo di averne 18 e di saperci conquistatrici di un mondo che forse toccava appena il perimetro della periferia delle nostre case. A 20 sognavamo di varcare gli anni zero perfettamente autonome e magari con famiglie e figli a carico. A 27, all'ingresso del millennio, abbiamo dovuto smontare quei sogni infantili come un albero di natale a febbraio, lasciato ancora un po' per nostalgia e per paura del futuro; poi inconsciamente di sogni ce ne siamo costruiti di nuovi. Tuttavia i Natali non sono stati più uguali. A 40 la strada è stata ricca di salite, qualcuna più ripida e in qualche curva solitaria. Abbiamo smesso di giocare e immaginare. Anche quando le novità si sono dopo tanto tempo riaffacciate audaci e desiderose di farsi accogliere, le si è osservate con prudenza. È un arcobaleno dopo la pioggia, ci si è detto, un fenomeno che affida all'effimero, alla propria incapacità di durare, la sintesi del suo fascino. A 48 anni una mattina guardi indietro e vedi che alcuni passi, decisamente importanti, sono stati compiuti con semplicità, forse decisi in una notte, o dopo nottate di chilometri percorsi. Passi che hanno portato una lontana bambina di 10 anni dove proprio non la si sarebbe immaginata. Pensi a tutto questo mentre sei lì, seduta su un divanetto di velluto in una ventilata e gelida mattina di gennaio a respirare il candido mondo di pizzi, volant e chiffon. Solo nel momento in cui si apre la tenda e lo sberluccichío dei tessuti ti abbaglia che le vedi. Sembrano comparse all'improvviso, ma erano lì prima di te. Ritte in piedi due bambine di 10 anni ridono e si serrano le mani sulla bocca per la sorpresa. Una delle due si volta attirata dal singulto di un pianto, ma non sono nemmeno certa mi veda davvero. Qualcuno li descrive come varchi spazio temporali in cui gli universi paralleli si incontrano e le dimensioni di presente passato e futuro coincidono. Per una frazione infinitesimale prima di divergere allontanandosi per sempre da quel punto. O forse no. Chissà. Sorprendo una delle due bambine a sorridere. A me, a qualcosa, o forse a un pensiero tra sé. Poi si volta, prende l'altra per mano e corrono via. Questa mattina Laura Antonini e Rudy Zerbi chiedevano agli ascoltatori di confessare con quale personaggio famoso o di fantasia si fossero mai fidanzati. Naturalmente all’alba, dopo poche ore di sonno, è per me un invito a nozze interrogarsi su codesti profondi pensieri. La stupidera mentre si guida è un passatempo impagabile. Scavando indietro ho trovato subito, restando sulla frequenza, un volto deejayano noto: Fabio Volo. Ero proprio stata sedotta, prima che dai suoi libri (che oggi vedo incorniciati con il tag editoria pop), dalle scelte musicali e dagli influssi da cui lui stesso si dichiarava affascinato provando a contagiare gli animi degli ascoltatori. Con questo pseudo-fidanzAmoramento ho condizionato la vita delle persone che più mi erano vicine in quegli anni. A mia madre chiedevo di registrare il programma in onda al mattino (rigorosamente su cassettine magnetiche che poi riascoltavo durante la pausa dal lavoro o in notturna), il mio amico d’avventure dell’epoca Massimo mi ha scortata non poche volte a incontri di piazza e presentazioni; una volta siamo finiti giù all’aeroporto di Brindisi. Poi, da sfacciatamente single, ha saltato la barricata finendo tra le braccia della donna che l’ha rivoltato come un calzino. SBAM! Innamorato e papà. Che sia accaduto sia a Fabio Volo che a Massimo è un dato trascurabile. Il primo ho smesso di vederlo come un dio venerabile e ho capito che scriveva libri in rotativa, l’altro ha tirato un sospiro di sollievo per non dovermi più seguire nelle scorribande. Alla peggio aveva comunque un’ottima scusa. Eppure, pensandoci oggi, Fabio Volo si è rivelato una scaletta privilegiata per arrivare a leggere Gurdjieff, a conoscere Antonio Bertoli e Jodowrosky di persona, a capire che Battiato dietro i suoi testi nasconde l’accesso a un mondo magico non troppo dissimile dalla Kirghisia di Silvano Agosti. Insomma, a patto che non vi facciate devastare, essere innamorati ci consegna sempre alle porte di qualcosa. Sta a noi decodificare le mappe. Più indietro nel tempo c’è Baltimora, cantante molto noto a metà degli anni ’80, autore di un one-hit wonder, un’unica notissima canzone con cui ha spopolato nelle classifiche europee (Tarzan Boy) e di cui io vedevo riprodotta la somiglianza nel garzone del macellaio all’angolo di casa. Ho appena scoperto che è morto per Aids a 38 anni. Il cantante ovviamente. Direi che si possono già scorgere le linee del disegno completo. Scorrendo ancora più lontano fino all’infanzia direi che ci sono almeno due personaggi dai fumetti. Il primo, minore, è Lupin di cui mi colpiva il genio mentale (indizio, sic!) e l’ardore per la prosperosa Margot; l’altro, ça va sans dire, il gettonato Terence, ragazzetto un po’ snob e viziato su cui, diciamolo, Candy aveva messo subito gli occhi addosso per metabolizzare la morte di Anthony. Tuttavia anche lui non disdegna la compagnia di Candy e se pure si fa beffa di lei e sembra che la odi, l’attimo dopo la difende dai due fratelli bisbetici (Iriza e Neal) e infine la bacia. Insomma il classico psicopatico di cui tutte potremmo innamorarci ed è così che a sei anni, non rinunciando nemmeno a una puntata in onda al pomeriggio su Italia1, mi sono creata il mio bel bagaglio di modelli d’amore sbagliati. Perché se uno si comporta da perfetto stronzo e poi ci lascia è soltanto a causa di una forza maggiore (voglio ricordare che Terence è rimasto con Susanna riuscendo a convincere almeno altre tre generazioni di donne che lui ci stava contro la propria volontà). Proprio ciò che serve per diventare a nostra volta delle arpie perennemente incazzate col sesso debole. Avete individuato le ricorrenze? Venendo al presente posso affermare senza tema di smentita che fino a un certo punto della mia vita per trasformarsi in un attimo nell’uomo dei sogni era sufficiente essere indisponibili, di mente o di fatto. Adesso le cose stanno cambiando e a breve mi disfo anche dell'unicorno. Perché qualche volta, essere consapevoli, è già parte della cura. La prima delusione vera che io ricordi, da cui la considerazione che essere intelligente non aiuta, l'ho avuta a 5 anni quando ho scoperto che la mia lettera a Babbo Natale, Via del Cielo n. 1, non era stata spedita. O era tornata indietro?
Uno a 5 anni può essere intelligente, ma non pronto per smettere di sognare. Secondo voi che ho fatto? Infatti, nel pieno possesso delle mie facoltà mentali, ho deciso che 41 anni è un tempo sufficiente per avanzare una richiesta di risarcimento. Scriverò alle ELF POST (perché è chiaro che sono loro a gestire il servizio poste BabboNatalizie) a nome di tutti i bambini che hanno trovato negli anni le loro lettere - faticosamente redatte a mano - nascoste in qualche cassetto o anfratto della propria casa. Perché crescendo uno ci passa sopra, ma ve la ricordate la difficoltà di impugnare la penna e scrivere le prime parole facendole entrare in quelle due ristrette righe parallele? Io sì. Indelebile il ricordo di quelle propedeutiche prime paginette interminabili di vocali in corsivo, della mano che pesa per lo sforzo distribuito male sotto l'occhio inquisitore di mia madre che probabilmente, come me, sperava finisse al più presto quel supplizio. Quindi se pensate a quella primaria difficoltà e a quanto sia stata in quel momento vanificata, be' c'è da essere parecchio incazzati. E poco importa che io abbia sempre trovato dei regali sotto l'Albero e non voglia più ciò che desideravo a 5 anni (tutto da verificare), ma voglio esprimere il mio disappunto tardivo. Quindi chiedo ai genitori di tutto il mondo di continuare a far scrivere ai loro bambini lettere redatte a mano perché il piacere di ricevere qualcosa per cui si è fatto fatica (un po', non tanta) è impagabile e questo lo percepisci anche da piccolo senza però avere le parole giuste per raccontarlo. Al pari, ai genitori, suggerisco di trovare posti migliori per nascondere le lettere dei propri figli, che resteranno eterne e cristallizzate nel tempo mentre loro cresceranno. Potrebbero diventare esse stesse, chissà, oggetto di un nuovo desiderio. Un regalo che l’Universo – e una madre che sa guardare lontano nel tempo – custodiscono preziosamente nel fondo di un cassetto in attesa che una bambina, adulta solo sul calendario, decida di scrivere, avvalendosi di penna digitale, una richiesta aperta di risarcimento. Un paio di mesi fa ho creato questo piccolo e acerbo blog, da cui anche la pagina Facebook che sta crescendo grazie al "passalike". Mi riempie di gioia perché dietro ogni persona che chiede a un amico un like sulla pagina di una sconosciuta blateratrice di emozioni (tutte sue, poi!), c'è proprio un affetto o una fiducia quasi incondizionata. A deluderli ho tutto il tempo. La mia felicità invece lasciatela scorrazzare nello spazio di questo post. Quindi ringrazio sinceramente tutti i promotori del passalike, ma più che vedere crescere numeri indistinti, stamattina la vera lezione di felicità mi arriva da un'amica. Una di quelle che popolano la parte più genuina della mia vita e che, per una fortuna non calcolata, ho imparato a scegliere. Ecco, questa persona non sta vivendo un momento sereno, ma ha un suo credo e lo alimenta giornalmente. Ce la farà. Ieri le avevo confessato di avere una serie di inciampi e lei, nonostante altri pensieri ben più seri, ha trovato il modo di essermi vicina. Stamattina l'ho salutata dicendo che è solo quando mi sono calmata e ho avuto fiducia in me che le soluzioni lentamente si sono affacciate e le ho messe in pratica. Risponde al mio buongiorno solare e più spensierato dicendo che era certa avrei risolto, ma soprattutto che qualcuno poco prima le aveva pronosticato l'arrivo di una bella notizia. Aggiunge: "Tu sei la mia buona notizia". Senza che questo apporti alcun vantaggio concreto al suo quotidiano. Per cui, tirando le somme: 1) se avete un piccolo (o grande) grattacapo, l'ultima cosa da fare è agitarsi perché nel mare in tempesta dei pensieri la soluzione farà fatica a venirvi in soccorso pur essendo prontissima a raggiungervi. 2) Ci è dato un contenitore quotidiano di felicità: se ci buttiamo dentro anche le gioie altrui si riempirà più in fretta e quelle si mescoleranno alle nostre perché è proprio un'intrinseca proprietà delle gioie (osservate i bambini se volete subito un esempio), ma soprattutto 3) vorrei suggerire di tenervi strette le persone per cui sareste capaci di essere una prima buona notizia. Io ci provo oggi e anche domani. Grazie G. Io posso scrivere di tantissime cose. Mi riesce facile perché sono piccole e ci stanno in una pagina di blog o di un qualunque social. Come diceva il protagonista de La leggenda del pianista sull'oceano, su un pianoforte ci sono 88 tasti e sono finiti loro, ma la musica che puoi fare è infinita. Allo stesso modo la parola mamma apre possibilità che si propagano come i cerchi di un sassolino lanciato sulla superficie dell'acqua, sempre più grandi. Quindi tutto quello che potrei scrivere adesso non avrebbe una vera e propria fine. Così, nel giorno del tuo compleanno, per farti stare dentro la pagina di un blog, ho scelto qualcosa di altrettanto infinito: un'arte come la musica. Perché una madre la musica l'ha dentro e solo un figlio ha la capacità di sentirla prima di nascere, dal suo posto preferenziale. In realtà resta così tutta la vita, ma non si ha sempre la fortuna di accorgersene in tempo. Quando e se accade, sarà come rinascere perché si scopre che quella musica non è mai la stessa, neanche durante le ventiquattro ore di una giornata. Capace di diventare una fanfara mattutina che accompagna la sveglia, un blues lento per una colazione profumata di brioche e cannella, un rock energico che prepara all'attività sportiva, una ballata di sottofondo mentre si lavora con le parole, una dolcissima nenia che regola il ritmo regolare del respiro durante il sonno. Da quando l'ho capito vivo divisa tra la gioia di ritrovarne ogni giorno e la paura di un futuro lontano in cui non sentirla più. Allora provo a pensarmi come una radio, ora e in futuro, per imparare a sintonizzarmi sempre sulla frequenza giusta, quella che dentro di me, suona di te. E se oggi fossi una canzone, saresti sempre quella del primo giorno. Vi siete mai chiesti se c’è una frase, una citazione meglio, più essenziale, che possa rappresentare la vostra molteplice personalità? Non solo, ma avete mai pensato di affidare questa scelta a qualcuno, certi vi conosca bene e rielabori tutte queste informazioni in modo esclusivo? A me è stato chiesto da un’amica. A, con la maiuscola. Ciò che lei è sempre stata per me più di quanto lo sia riuscita a essere per lei. Per motivi che non sarebbe difficile spiegare, ma che non farò perché è una faccenda privata, anche un po’ sacra, come considero certe sfere della mia vita. * Lei mi ha cercata quando io provavo a nascondermi, mi ha ricordato quanto avessimo condiviso, come e meglio il meno arrendevole degli ex, lasciato senza una spiegazione nel giro di una notte. Non ho smesso neanche un attimo di volerle bene, neanche l’ho preso in considerazione di smettere, ma non riuscivo a ripercorrere la strada verso di lei. Perché volevo dimenticare le appartenenze, fingere che non fosse la mia storia. Poi ho fatto pace e preso le distanze dalle narrazioni che continuavo a ripetermi. Abbastanza passate da influire solo nelle sue declinazioni positive. Uscendo dalla caverna ho capito che sarebbe stato più veloce e agevole cercare un nuovo percorso piuttosto che tornare indietro. Per fortuna, nel frattempo, lei aveva cambiato casa e così anche nella realtà simbolicamente la mia intenzione si è verificata. Mi sono persa la meraviglia di alcune trasformazioni avvenute nella sua vita, una tra tutte che ha trovato il modo di rendersi eterna, ma non serve rammaricarsi. È come ritrovarsi in regalo un bambino senza aver penato le notti insonni. Si recupera tutto se si vuole, così come faremo con una serie Tv (lei è l’unica capace di convincermi a guardarne), a raccontarci le diversità elettive delle persone che ci circondano, i corsi e ricorsi storici (che per brevità lei chiama “karma demmerda”) e non da ultimo a sbellicarci per le dissacrazioni sugli uomini della mia vita, rigorosamente sbagliati tranne uno, a suo avviso (ma anche un po’ il mio), evaporato prima ancora che lei potesse esprimersi in favore aprendo – per la prima volta nella storia della nostra amicizia -, il registro delle possibilità. Mi ha affidato un compito importante. Ne sono onorata, spaventata, riconoscente e ne sento la responsabilità perché qui non si tratta di una singola unità, ma due… quasi tre. Che fossero destinati a stare insieme loro, l’ho profetizzato prima ancora che si rendessero conto di essere un uomo e una donna, quindi potenzialmente, volendo, anche coppia. Per fortuna poi l’hanno desiderato ed espresso così bene che oggi mi ritrovo a dover modellare pensieri per unire l’idea di due semirette convergenti (non sempre) con l’arrivo in un punto comune dai grandi occhi blu che si esprime con un frasario originale alternando vocaboli da due lingue. Non so se sarò all’altezza, ma nessuno si è mai spinto fino qui con me, affidando se stesso alle mie parole. Così sfuggenti a volte, arrendevoli a più significati e quindi traditrici, incapaci da sole di reggere il peso di sentimenti ed emozioni al punto che chiedono sempre un avverbio o un aggettivo. Trovo sia un atto poetico. Anch’io vorrei. Come lasciarsi cadere all’indietro col cuore fiducioso. Grazie Mari. da "How I met your mother", che un giorno vedrò tutta fino alla fine Ieri sera qualcuno su Facebook ha pubblicato questa immagine ricordando i primi tempi di scuola.
Non so cosa ci sia oggi al pari tra i "must have" delle bambine. Ai miei tempi c'era lei, Holly Hobbie, la cui identità coperta dal grande cappello faceva forse sognare di essere tutte un po' lei, ingentilita dai pachtwork di colori pastello. Oggi scopro che la creatrice di questo personaggio è l'omonima scrittrice americana e illustratrice che a fine anni '60 vendette alcune opere della "Blue girl" (così chiamata inizialmente) ispirata ai suoi figli e a una rustica epoca passata un po' British. Ma alla me bambina, che ora sta ancora gironzolando nella cartoleria di via Re David dopo l'uscita da scuola, mica interessano le biografie, le operazioni di mercato che periodicamente riportano in auge giocattoli famosi. Sto pensando ai miei quadernoni (credo di averne conservato uno in cantina), ai sospiri prima di uscire dalla cartoleria a mani vuote, e alla gioia di quando i miei genitori me li compravano, o consigliavano ai loro amici di regalarmene. E nello spazio di questo post, prima di ritornare al 2019, mi sento proprio come quella "blue girl" tanto fortunata. Ai miei genitori. Durante l'estate ho applicato il metodo Marie Kondo nella mia casa. Ogni anta di ogni armadio, ogni cassetto, ogni scatola, ogni cartella porta documenti è stata aperta, analizzata, valutata la sua utilità passata, la sua funzione nel presente, la necessità futura. Ho fatto spazio. Spazio e ordine (sono maniacale a volte). Poi sono incappata in un set di valigie, ricevute come regalo del matrimonio. Anche loro hanno compiuto 20 anni. Rigide e affidabili fino al 2006 quando il nastro trasportatore dell'aeroporto di Heathrow mi restitui quella piccola, oggettivamente la più usata, con un gancio laterale danneggiato. Sono finite le sue trasferte, relegata nell'armadio con l'intenzione, sempre rinnovata, di farla aggiustare. È stata invece sostituita dai cugini trolley più agili, più giovani, meno ingombranti. Bagaglio a mano. Lei, incapace di assolvere la funzione principale, ma ugualmente incapace di uscire dalla mia vita. Sarà perché dentro le valigie dimenticate negli armadi finiscono interi mondi. In questa per esempio c'era una videocamera JVC, regalo dei miei genitori. Anche lei con un corredo di cassette, batterie esauste e forse introvabili, ma con una serie di filmati perfettamente conservati nella mia memoria che sono andati in autoplay non appena l'ho presa tra le mani. Insomma, dopo solo 13 anni, ho deciso che questa valigia doveva tornare ad avere una possibilità. Ho cercato l'assistenza e il proprietario del negozio al telefono ha ucciso per metà le speranze nel mentre in cui descrivevo il modello: - Eh, ma quello è un modello vecchio di almeno 20 anni (mi rimprovera, quasi). - Sì, esattamente - gli dico già mezza dispiaciuta di dargli quasi fastidio. - Deve portarmela e chiederò all'assistenza se di quel modello hanno qualche rimanenza di magazzino. Ho bisogno di 48 ore. - Guardi, non si preoccupi, io ci ho messo 13 anni. Il tizio dall'altra parte ride, pensa forse a una battuta. Il negozio è in pieno centro e, rischiando la multa per sosta in seconda fila, riesco a mollare sul lungo bancone il mio ingombrante passato. Non mi lasciano una ricevuta e uscendo, penso di essere stata superficiale. Del resto, mi dico, che se ne fanno di una valigia rotta? La parte pessimista di me si immagina già all'isola ecologica in cerca di un modo per smaltirla. Forse un po' ci spero. Tutto ciò che se ne va fa spazio (è il mio mantra). Ieri sera, mentre ero a cena, trovo la telefonata di un numero sconosciuto. Nessuno chiama più nessuno ormai. Penso a qualche corteggiatore dimenticato, a un call center notturno, ma men che meno al proprietario della valigeria. Che stamattina mi richiama e mi dice che la mia valigia è perfettamente riparata. Che i ganci sostituiti sono due, ma che quello non danneggiato me lo restituisce perché ormai davvero sono fuori produzione. E potrebbe ancora tornare utile. Il viaggio inaugurale di quelle valigie mi ha portato in America. Come i migranti del dopoguerra. Credo mi ci porteranno ancora a far migrare questo cuore ancora non sazio, a riempire quella valigia di nuove cose, forse inutili, ingombranti, ma che, sono certa, considererò indispensabili per una buona porzione di vita. E se proprio dovesse essere l'ultimo per loro, mi piacerebbe sia lì, per chiudere un cerchio. Perché gli equilibri cosmici esistono e chi se la ride prima o poi dovrà fare i conti con qualche tsunami. Ve l'ho detto. La valigia è sinonimo di libertà e che proprio oggi, nel non anniversario del mio matrimonio, qualcuno mi abbia "regalato" uno strumento di viaggio, la trovo una coincidenza meravigliosa. I segni ci sono sempre stati tutti, ma non avevo ancora le mappe giuste per decodificarli. Anche quella libertà che mi è stata donata l'ho disprezzata a lungo, incapace di capire cosa farne. Ora, 20 anni più tardi, ho imparato più come lasciare andare che tenere. Forse nella seconda parte della mia vita la lezione sarà inversa. Per intanto sono felice così, perché rendere liberi gli altri non solo è la cosa più difficile da fare, ma anche la più colma d'amore. Io e la mia valigia senza peso ripartiamo presto. Altamura, 12 giugno 1999. L'idea fu del fotografo. Non vi dico per issarmi lì sopra. |
Alessandra NennaParlo e scrivo dal basso. Archivi
Gennaio 2024
HomeVoce ai personaggi (il podcast del romanzo)
La storia c'è. Facciamone un romanzo vero Il libro c'è. Voi? 0,18181818 Il titolo che vorrei Rinunce Rapsodia, insieme per resistere. Scrivendo La settimana della "Revolution" Lettere dal passato 1001. Traguardi e nuove partenze OMG... L'ho fatto davvero Sottolineatevi... in verde Storia di una matita rosso-blu... e una gomma Matematica e profumi Il talento On LifeCome ti aggiorno il CV: a voce
La misura dell'amicizia Parco della lavanda, una prospettiva unica Tema, la fede La mamma dei miracoli Cara amica mi scrivo Elogio della lentezza Guerriere senza veli La felicità è un muscolo Pippo e il paradiso di Konrad Lorenz Svegliarsi... altrove Quando il web parla della tua vita Ri-conoscere il passato per dirgli grazie I grassi (saturi) vanno ignorati Amore: un amico speciale che si rinnova ogni tre giorni Alle radici della narrazione A scuola di tolleranza A lezione sul balcone Che un profumo vi annunci Non Ciao, ma Ti vedo dimagrita Ho perso le parole La chiave della felicità Un giorno forse torneremo qua I miei ex fidanzati (immaginari) Scrivere a Babbo Natale Avete tempo per una buona notizia? Dieci cose di me Giardini d'infanzia Gli sguardi dell'Amore Una radio sintonizzata sul futuro C'è molto di te in me Trova le parole per me La blue girl della mia infanzia Gente arcobaleno Venti non anniversari e una valigia senza peso BlogDrusilla, l'unicità dietro la maschera
Quello che non (mi) scende A message in a book La paura ha paura L'ombra della luce La filosofia in una camminata Anche una crepa... La misura della felicità Siamo endiadi a metà Rapporti di platino Di quel paese chiamato Amore De/sidera... pensarsi oltre E se foste un libro da salvare? The great gig in the sky Manuel Vilas, 100 comandamenti più uno La stanza del Mago Ezio Bosso Se avere talento pesa Ma tu, che paura hai? Quando a mancare è il respiro E voi, come vi state proteggendo? L'ulivo che vuole essere preso in braccio Un virus legale e la gioia bambina Fate virale la gentilezza Leandro e le cassette dei sogni da montare La maschera e il volto Somewhere over the rainbow... there's Judy Il saluto salutare Condividete e moltiplicatevi A Natale regalatevi un T.E.A.M. Te lo dico in un vocale Vi svelo un segreto Come un calzino spaiato La fata delle scarpette Maleficent a modo mio Profumi di nuovo Gratitudine. Un motivo al giorno Om... e torno a casa Come avere successo in amore. Forse Parole da salvare Dimagrire. 4 consigli non richiesti Giovanni e la birra annacquata Nuovi passi hanno bisogno di nuove scarpe Riflessioni allo specchio La vita come un applique fulminato Come potenziare la sfiducia negli acquisti on line HappyhandZoombombing aziona circuito di beneficienza
Andrea, una Dolcilandia per i bambini poveri Minoo, il presente è melodia Manos Blancas Puglia: happyHand su misura Un paio di scarpette contengono 50 grammi d'amore Laura's Art Studio. Quando la bellezza sta in una mano Esprimete un desiderio. FommyartLu lo cuce per voi Leandro e la cas(s)etta delle idee Urtare un totem e trovarci una città Valencia a modo mioCasa Nenna |