Oggi è 21, il Numero con la n maiuscola. Che sia aprile (un mese che mi piace particolarmente) si carica di più significati. Oggi sarebbe stato l'anniversario di matrimonio dei miei nonni paterni. Purtroppo, un po' di anni più tardi, mio nonno mancò improvvisamente. Stessa data.
Quando mia nonna mi raccontava di questo particolare si adombrava un po'. E io con lei, partecipativa. Allora smetteva e parlava d'altro. Quindi - forse anche perché troppo piccola - non ho mai saputo nulla di più di quest'uomo se non che era alto un metro e novanta. Non so se lei si fosse sentita amata da lui, non so nemmeno se lo credesse un buon padre perché quando è mancato il più grande dei figli aveva solo 7 anni. L'unica immagine che conservo ancora di mio nonno è quella di una foto in una preziosa cornice rococò. Quando capitavo nei pressi di quel quadro mi fermavo sempre un po'. Fissando dal basso quello sguardo cercavo un luogo, un'idea che unisse la mia storia a quella di uno sconosciuto, nato a Porto Said oltre cento anni fa. So, da narrazioni successive, che a un certo punto gli sottrassero dalle mani la nave che portava su e giù per il Canale di Suez. Forse era stato questo il motivo dell'inabissamento improvviso della sua vita. Un uomo di mare non riesce a stare a lungo con i piedi per terra. Come per i sognatori. Non è il loro elemento. Mia nonna ironizzava dicendo: "avete preso tutto da me" alludendo alla sua statura minuta. Ridevo. Decisamente l'ironia si eredita. Poi null'altro. Lei era sarta, ma io non so attaccare nemmeno un bottone. Da lei ho ereditato un vestito e una valigia di frasi ironiche. Ripensandoci adesso mi spiace non averla inserita nell'elenco delle donne forti che ho stilato qualche giorno fa. Quello che invece ho scoperto parecchi anni più tardi e che non sapevo circa quella coincidenza di date che da piccola mi creava smarrimento e un senso di prostrazione, è che amore e morte (in greco, "eros e thanatos"), sono tòpos letterari ricorrenti. I tòpoi sono quei luoghi "comuni", quelle strutture create dalla fantasia degli scrittori e che i lettori sanno per certo di trovare per cui per esempio in un giallo ci sarà sempre un posto isolato e chiuso (una stanza, o una villa) così come in un romanzo d'avventura ci sarà il viaggio e la conseguente trasformazione del protagonista. Amore e morte. Siamo di passaggio. A ben vedere qualcosa di noi perdiamo ogni giorno, perfino l'Amore (dice qualcuno più bravo di me), non smette mai di preparare la propria scomparsa. Oggi so che alle radici della mia storia familiare, per quanto triste, c'è un luogo dove l'amore e la morte si uniscono e diventano narrazione, e quindi di nuovo vita. Pulsano come cuori, senza arrendersi, proprio come la migliore delle narrazioni.
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Seconda lezione dal balcone di casa nella mattina di Pasqua.
Sono qui da oltre un'ora. Volevo semplicemente rilassarmi al sole, ma è stato praticamente impossibile. È proprio vero che è sufficiente stare fermi in un punto per vedersi passare davanti tutta l'umanità. La prima cosa a raggiungermi ovviamente è stata la musica (si è passati da Zarrillo alla tigre di Cremona) che tuttavia non riesce completamente a sovrastare il cinguettìo gioioso, decisamente più gradevole della litania triste che si diffonde da un angolo della strada e che dovrebbe inneggiare al dì di festa (ma ci torno dopo). Vedo parecchia gente in giro. Gli uomini, forse per sfuggire alle quattro mura casalinghe e alle mogli che ora conoscono meglio, improvvisano una riparazione urgente all'auto (dove dovranno poi andare?). Un signore nel palazzo accanto rimprovera un altro a passeggio col cane senza mascherina che dialoga amabilmente con un passante senza rispettare le distanze di sicurezza. Iniziano a battibeccare e quello senza mascherina ne asserisce l'inutilità e la sua assoluta libertà di pensiero e di azione. L'uomo sul balcone tace e dopo un po', sparge auguri agli altri condomini. Lui è uno che non si arrende. La signora del piano superiore al suo invece, prende a spargere su tutti noi la polvere e gli acari dei suoi tappeti (è pur sempre un dono) facendo innervosire l'inquilino sulla mia testa. "Signora, ma potrebbe anche guardare prima!" Risentita forse perché scoperta, la signora ribatte: "Ma è pulito!". Mi fa pensare che forse è vero che il tappeto sia pulito, ma allora quanti gesti inutili facciamo durante una giornata? Per riflesso incondizionato un signore, due palazzi più giù, si muove frettoloso col suo aspirapolvere. Forse teme che gli acari siano stati portati fino a lui. Intanto da un balcone del palazzo di fronte le parole di una messa recitata con l'ausilio di altoparlanti si mescola al resto e cerca di sovrastarlo senza successo. infatti, beffa del caso o forse perché il messaggio è sempre lo stesso, ma sceglie fantasiosi mezzi, un Celentano dei primi Sessanta intona "Pregherò, per te! Che hai la fede nel cuor". Ora, senza screditare nessuno, perché mi sono pure presa la benedizione finale che ricambio, la canzone mi è sembrata più vitale, incisiva e "leggera". Di questa mia nuova suggestiva immersione nella natura avevo però sottovalutato quello che credevo appunto trascurabile, ovvero l'incapacità di gestire il rapporto con gli insetti. Non sopporto di sentirli addosso. Sì, lo so, non possono farmi nulla, eccetera eccetera, ma è più forte di me. Avevo sentito svolazzare qualcosa sulla testa, ma credevo che agitare il braccio a caso avesse fatto da deterrente. Fino a quando ho sentito qualcosa che si muoveva tra i capelli che nel passare la mano ho urtato e fatto scivolare via. Era un incrocio tra uno scarafaggio e uno scarabeo che tuttavia non ho fatto in tempo a mettere a fuoco perché sono saltata dalla sedia e scappata via con un urlo. L'esserino dopo un momento di smarrimento identico al mio è volato via. Dalla seconda e ultima lezione sul balcone è tutto. Ho capito che tutti abbiamo bisogno di farci udire (anch'io dopotutto affido i miei pensieri a questa pagina) e tutti parliamo contemporaneamente convinti di avere più diritto e ragione. Il segreto sta forse allora nel saper tacere. Viva la tolleranza e pure le zanzariere. Oggi sono andata a lezione sul balcone. Non sapevo si sarebbe rivelata tale perché in verità tutto è iniziato perché ho guardato fuori dalla finestra anziché la tastiera del pc che mi aspettava. È accaduto proprio questo. Stavo per sedermi alla scrivania per iniziare la mia routine e forse per la prima volta in assoluto da quando vivo in questa casa, ovvero 30 anni, ho fatto un gesto non automatico. E allora mi sono chiesta: quanto tempo delle nostre giornate possediamo davvero? Ripropongo meglio. Quanto delle ventiquattro ore riusciamo a vivere sentendoci in totale libertà di essere e soprattutto di improvvisare? È una facoltà che sanno gestire bene i bambini anche se poi pian piano, crescendo, gli adulti li incapsulano in tabelle di marcia a ridotto apporto di ossigeno. Come erano invece le giornate quando eravamo piccoli? Infinite e avventurose. Lo abbiamo dimenticato. E se questo lockdown volesse farci il regalo di ri-scoprire come riempire un tempo improvvisamente svuotato di impegni, di obblighi e di scadenze?
Quindi stamattina ho guardato fuori e mi sono sentita felice perché c’era il sole. Quell’attimo minuscolino di dimenticanza, come l’avrebbe chiamato Totò, mi ha fatto desiderare di sedermi col naso per aria a godere un panorama inusuale per quest'ora del giorno, come lo vedono solo le piante e gli uccellini che vengono a posarcisi sopra e per cui qualche volta, quando desideravo l’assoluto silenzio, ho provato fastidio e intolleranza. La scaletta della mattina prevedeva una sessione di inglese, il controllo della pagina del blog, poi la posta (che come sempre avrebbe tirato giù nuove incombenze per le quali sarei finita, borbottando, a fare la cosa più urgente e in seconda battuta – forse – quella importante). Sono abituata, ben prima del coronavirus, ad avere tempo extra da gestire ed è il vantaggio di avere un lavoro part time su turni. Eppure stamattina, nonostante la piena autonomia in cui mi muovo da sempre, mi sono sentita prigioniera di quella quotidianità che io stessa ho costruito negli ultimi quattro anni. Sarà che qualcuno mi ha suggerito di creare nuove ritualità, di provare a respirare in modo diverso, ascoltando il vuoto e il pieno che ne consegue. Così ho fatto. Insieme al respiro ho lasciato andare gli impegni che mi ero data nella successiva mezz’ora e mi sono concessa di andare in un posto per me nuovo in questa ora del mattino: il balcone di casa. Ci vado solo per pulirlo e sistemare le piante. Ho preso il posto dell’altalena che è sempre stata lì, orientata a ovest, e mi sono sistemata col viso in pieno sole. Un cinguettìo mi ha distratto e sono tornata a guardare le piante. Un paio arrivano dalla casa in cui abitavo, sono delle rampicanti che in estate si riempiono di fiori fucsia bellissimi. C’è un aloe che fu regalata a mio padre dalla segretaria della sua naturopata. Era piccina quando arrivò, ma adesso occupa un vaso tutto suo. Ogni tanto vado in affanno perché le punte delle foglie si seccano, ma tolte quelle riprende con più vigore e il mio respiro torna regolare. Nei vasi più grandi, posati a terra, ci sono i gigli. Credo sbocceranno a breve. Un’unica comparsa regale, pomposa per poi sparire per un intero anno. Sono i Paganini del mio balcone. C’è una pianta dalle foglie spesse e carnose, anch’essa regalo di un’amica di famiglia. Non so come si chiami. Non conosco i nomi di quasi nessuna di loro, ma in questo periodo ogni anno sboccia un fiore che si dirama in tante piccole campanelle arancioni. Ha subito intemperie e temo sia stata attaccata da acidi caduti durante la ristrutturazione della facciata, ma ha resistito. Le tre piantine più recenti risalgono al settembre 2018. Erano degli innesti che portai a casa in una busta anonima, dono di un’amica. Temevo non sarebbero mai state rigogliose come quelle da cui erano state separate, invece. Una di loro convive benissimo con la rampicante; i loro rami sono così intrecciati che hanno modificato l'uno la traiettoria dell'altro come se fosse una danza. La Natura lascia che sia. Non ho un grande pollice verde come mia nonna e spesso non faccio sopravvivere a lungo neanche il basilico, ma queste piante le curo sperando sempre che i miei interventi su rami e foglie secche non siano distruttivi. Pare perfino che l’ultima drastica potatura, su una in particolare, abbia contribuito a far nascere foglie rigogliose e vitali. La natura non si preoccupa. C’è una cosa ancora più sorprendente. Il vento, o forse gli uccellini, fanno sì che nascano spesso piantine spontanee e fili d’erba che tuttavia, moltiplicandosi, soffocherebbero il già esiguo spazio delle altre. Quindi li estirpo senza pietà. O così credevo di aver fatto anche con le ultime minuscole foglioline che stavano creando una specie di manto erboso. Anziché sparire come accade di solito, oggi erano raddoppiate e a fare capolino, ancora più minuscoli, dei bulbi. Era pure sbocciato un fiore. Sembrava la miniatura di un mondo delle fate. Forse per un tempo infinitesimale e per nulla lineare, sono diventata piccina anch’io e mi sono sentita proprio come quel fiore, minacciato dall’alto da una forza estranea che senza una vera ragione passa, prende e strappa tutto via. Per una frazione di secondo vedermi dal basso è stato utile perché tornata alle dimensioni originali mi sono ritrovata a fissare sorridente l’espressione di un mondo la cui bellezza a volte sento di non meritare. Io, che non avevo nemmeno compreso che quello fosse il fiore della pianta spontanea. Davanti a tanta meraviglia ho deposto le armi. No, non meraviglia, un piccolo miracolo, sapendo con quanta sciatteria di gesti avevo trattato quei primi germogli. La Natura è magnanima. Ho guardato l’orologio. Era passata mezz’ora. Sotto il sole, in mezzo alle piante del mio balcone, quelle stesse che ho sempre guardato con fretta e dall’alto, mi sono rigenerata meglio di quanto abbia sempre fatto il mio americano tutte le mattine della mia vita. Un fiorellino di pochi millimetri mi ha insegnato cos’è la caparbia ostinazione a esserci, nonostante tutto. E voi, da quale avventura vi farete rapire domani? |
Alessandra NennaParlo e scrivo dal basso. Archivi
Gennaio 2024
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La storia c'è. Facciamone un romanzo vero Il libro c'è. Voi? 0,18181818 Il titolo che vorrei Rinunce Rapsodia, insieme per resistere. Scrivendo La settimana della "Revolution" Lettere dal passato 1001. Traguardi e nuove partenze OMG... L'ho fatto davvero Sottolineatevi... in verde Storia di una matita rosso-blu... e una gomma Matematica e profumi Il talento On LifeCome ti aggiorno il CV: a voce
La misura dell'amicizia Parco della lavanda, una prospettiva unica Tema, la fede La mamma dei miracoli Cara amica mi scrivo Elogio della lentezza Guerriere senza veli La felicità è un muscolo Pippo e il paradiso di Konrad Lorenz Svegliarsi... altrove Quando il web parla della tua vita Ri-conoscere il passato per dirgli grazie I grassi (saturi) vanno ignorati Amore: un amico speciale che si rinnova ogni tre giorni Alle radici della narrazione A scuola di tolleranza A lezione sul balcone Che un profumo vi annunci Non Ciao, ma Ti vedo dimagrita Ho perso le parole La chiave della felicità Un giorno forse torneremo qua I miei ex fidanzati (immaginari) Scrivere a Babbo Natale Avete tempo per una buona notizia? Dieci cose di me Giardini d'infanzia Gli sguardi dell'Amore Una radio sintonizzata sul futuro C'è molto di te in me Trova le parole per me La blue girl della mia infanzia Gente arcobaleno Venti non anniversari e una valigia senza peso BlogDrusilla, l'unicità dietro la maschera
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