Se per effetto di un qualche potere sconosciuto domani mattina poteste svegliarvi in un posto diverso, quale sarebbe? Una metropoli o un luogo esotico isolato? Cosa o chi portereste con voi? L’ho pensato qualche mattina fa rivedendo una foto di Montmartre scattata ormai sei anni fa. Parigi per me resta sempre una fuga possibile. Poi mi è capitata sotto gli occhi questa New York un po’ bucolica, fuori dal caos dei grattacieli, visitata troppo velocemente 𝑛-𝑎𝑛𝑛𝑖 fa e di cui sono innamorata da sempre grazie al cinema, soprattutto. Non a caso è sempre lo sguardo altrui a regalarci scorci memorabili come quello che nella foto sembra uscire da un film di Woody Allen. I colori autunnali di queste città ti illudono che ci si potrebbe vivere per sempre. O almeno per quel tempo necessario a farle diventare un’abitudine, della ripetitività dei gesti che infine stancano e fanno sentire al pari la voglia di fuggire. Si ha sempre la sensazione di voler fuggire da ciò che si pensa di conoscere bene. Anche la conquista del West americano è nata con gli stessi presupposti. Si parte per appagare il senso di scoperta.
Mi sono crogiolata per un po’ nel mio sogno realizzato. Ho immaginato una New York che per me stenderebbe il suo tappeto migliore di foglie che sfumano dall’ocra al mattone scuro. Ho provato l’euforia di poter visitare alcuni luoghi, di gustare una colazione lunga quanto l’Oceano che ci separa e il caffè da portare a spasso. Quanto tempo impiegherei per farmi raggiungere dalla noia già in bilico con un nuovo quesito, "perché non l'altra?", sentendo perfino una improvvisa e immotivata nostalgia, forse anche un forte richiamo. Perché è nella nostra natura sospirare sempre per un altrove, proiettarsi nel poi, al luogo che potrebbe accoglierci domani, tra qualche ora forse. Sentiamo appartenere sempre al luogo che si sottrae, che manca alla vista e al cuore. Luogo come l'insieme di uno spazio fisico e di tutto ciò che può contenere: oggetti, sensazioni, persone. Destinati a respirarne appena l'essenza per esserne allo stesso tempo insoddisfatti, mai paghi dell’ora presente. Corriamo, progettiamo spostamenti e viviamo tesi verso una meta, abdicando in quell’altrove il sentimento di pienezza. Ignoriamo invece che la felicità ha il passo lento e piuttosto che rincorrerci affannata per mezzo mondo, si siede e aspetta il nostro ritorno. Dietro la porta di casa.
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Non compro mai scarpe dal web. Qualche volta, con decine di tentennamenti, abbigliamento. Scarpe mai. Per quel discorso già affrontato per cui nelle scarpe e negli amori giusti ti ci infili come Cenerentola la sua scintillante scarpetta in vetro (azzurro cielo pendant col vestito, of course).
Decido allora di fare un download e aprirmi a questa visione alternativa di acquisto perché 1) sto pigra 2) ho caldo 3) i saldi non mi piacciono perché finisco sempre per comprare le nuove collezioni. Penso al fidato Amazon (che su tecnologia e libri dà grandi soddisfazioni) e mi dico: è facile. Voglio solo un paio di sandali. Risultato: 50 etichette differenti aperte con altrettante tipologie di infradito, con tacco non superiore ai 3 cm (però forse anche queste appena più alte magari), con la chiusura alla caviglia e il plantare morbido, suola in gomma perché principalmente voglio usarle al mare. E il colore? Bianco, paradiso rosa, arrossire (arrossire??!!) puffo, giorno di pioggia, con gli strass ma anche senza. Qualche modello ha un prezzo così abbordabile che potrei anche prenderne di colori diversi. Massìììì! Taglia 36. Mi filtra automaticamente una decina di modelli. Va bene. Ne salvo una terna. Procedi. Consegna prevista tra il 19 agosto e il 1 settembre. Lunedi vado al centro commerciale. #sabotaregliacquistisulweb #nontrovolescarpefiguriamocilamore Loro sono i colleghi del lavoro della mia prima vita, quella in cui sembra che i tuoi acerbi studi abbiano risposto efficacemente alle ambizioni, e le soluzioni vengano elaborate settimanalmente insieme a indici e incrementi di fatturato. Alcune delle persone in questa foto mi hanno conosciuto quando ero alta quanto la bambina ritratta (lo so, nel giro di pochissimo non si potrà vedere la differenza, ma dopo un lungo lavoro – su di me, stavolta -, ho scoperto che essere piccoli ha tanti vantaggi; tipo che ispira maggiormente il senso di protezione negli uomini, e che ci sono scarpe con tacchi vertiginosi e fashion che mai avrei potuto regalarmi senza sembrare una gru instabile che non ispira protezione in alcuno).
Tornando a quel primo lavoro nel tempo ho dovuto riconoscere che si è rivelato una base fondamentale per tutto ciò che ho fatto dopo: oltre permettere di trarre il meglio dagli studi di ragioneria - ché nella vita fare continuamente bilanci è vitale per non fermarsi -, mi hanno guidato nei primi rudimentali passi nel mondo Office (saper usare un foglio Excel, per esempio, torna utile pure se devi tenere assieme i conteggi di una vacanza saltata). Soprattutto mi hanno permesso di incontrare i caratteri più vari per prepararmi alla jungla di complessità in cui mi sarei imbattuta più tardi allenando una certa tolleranza ed elasticità. Fondamentale per il lavoro che sono chiamata a fare oggi. Ma ciò che di pregevole hanno davvero fatto per me è darmi la libertà, durante i tredici anni di collaborazione, e soprattutto dopo. Quando ho sentito il bisogno di “evadere” da una prigione che solo oggi so essere quella che da sola mi ero costruita. Ho trovato una seconda vita di studi più consapevoli e un lavoro fatto di parole che hanno preso le forme più strane. Eppure loro erano ancora lì, ad applaudirmi quando quel percorso è terminato. Siamo ancora qui. A ridere di episodi passati come se fossero appena accaduti (perché il pensiero - quando hai compreso il gioco - è una giostra che ti porta dove vuoi) dietro rughe di storie che non ci raccontiamo quotidianamente, ma non importa. Perché alcune porzioni di vita sono muri che devi buttare giù con fatica per dare spazio alle tue ali, ma altre sono case a cui torni sempre. Oggi, come mi ha ispirato il buongiorno del mio gruppo di bodysculpt (ché quelli mi allenano anche da lontano), per dire grazie mentre un coniglio frettoloso ricorda, battendo le dita sull’orologio del Tempo, che c’è una terza vita che aspetta di prendere forma tra conti, mai in equilibrio, e parole ancora da scrivere. Da circa un mese mi avvalgo di un app contacalorie. Me l’ha consigliata Aranzulla e naturalmente funziona. Perché Aranzulla è davvero il mostro sacro di qualunque interrogativo digitale della vita. Insomma accade che una mattina leggo che il metodo migliore per perdere peso è semplicemente bilanciare i macronutrienti, cercando di non sforare le percentuali di carboidrati, grassi e proteine che, per una persona in salute, corrispondono a un 50/30/20. SBEM! La svolta della vita, ho pensato. Finalmente qualcuno che suggerisce come smettere restrizioni e rinunce perenni che alla lunga imbruttiscono fino a farti saltare di gioia quando un improvviso lockdown impedisce il normale trascorrere delle attività e tu hai la scusa per ingozzarti e ingrassare perché tanto non avrai contatti umani mai più. Torniamo a quella mattina. Individuo l’app e con una semplice registrazione di pochi secondi (dice sempre Aranzulla) sei nel mondo del benessere calorico faidate. Peccato che invece quei pochi secondi si traducono nella realtà con il solito rimpallo con la mail, di cui mannaggia ti sei scordato la password che ti obbliga a dei capitomboli all’indietro fino ai primi dati conservati all’anagrafe con tanto di sigillo di ceralacca. Assoldate queste facezie e acquistato un nuovo cellulare perché hai preso a martellate il precedente, finalmente inizia il vostro per sempre basta alle diete. Con nuovi interrogativi. Sì perché cosa vuoi, ti chiede l’app,: perdere peso, mantenerlo o aumentare? Aumentare? Sono espertissima nell’aumentare, cara app. Insegnami piuttosto come mangiare senza sensi di colpa! Ho scoperto così un mondo fatto di grammi che vanno pedissequamente misurati prima di essere ingeriti e a cui spesso si può anche porre rimedio. Perché se non avete verificato in anticipo che 30 grammi di gallette di riso sono molto più caloriche (con percentuali di grassi maggiori) del pane ai cinque cereali, potrete compensare e far scendere il valore dei carboidrati ingerendo fibre (verdure e frutta) o proteine. Di solito, preventivando tutto, funziona. Peccato ne sia stata compromessa la mia vita sociale. Essendo possibile infatti inserire i prodotti semplicemente fotografando il codice a barre che aggiorna in tempo reale l’elenco dei valori nutrizionali, mi aggiro nel supermercato come un novello Sherlock che usa la lente della fotocamera per sparaflashare, per esempio le confezioni dei burgher vegetali (il più discreto vi costerà da solo almeno 200 calorie). Ho condotto battaglie serrate in loro difesa, ma ho lentamente imparato a evitarli perché ricchissimi di grassi. Diciamo no alla carne, ma pure al colesterolo. Quello che ho invece imparato, non senza meraviglia, è che il corpo brucia di suo un tot di energia per digerire gli alimenti e se sappiamo associarli gli rendiamo più facile il lavoro, soprattutto ai muscoli, che comunque devono sostenere ogni attività, persino quella di stare spatasciati su un divano in semi-agonia.
Ora, a distanza di un mese, so perché quel famoso articolo parlava in termini entusiasti di questa tipologia di alimentazione controllata. Perché è vero che si può decidere di darsi alla pazza gioia dei grassi saturi e un giorno mangiare un cinghiale intero e una Sacher da mandare in fibrillazione il dott. Nozzy, ma nel momento in cui vedrete drasticamente riempirsi il contenitore segnacalorie che quindi passa da un verde rilassante a un rosso allarmato, be’ ci penserete una volta in più. Non dimagrisci perché comprendi il meccanismo, ma perché l’app ti instilla i sensi di colpa e smetti di mangiare. Giornalmente con il mio bilancino di precisione soppeso e mi tocca scegliere tra un trancio di salmone o dei filetti di sgombro (assumendone poi la stessa espressione). Imparerete che in una cena potete assumere fino a 1600 calorie e che l’olio extravergine di oliva è uno dei più grandi traditori della storia gastronomica. Un cucchiaio ha 119 calorie e ben 13 grammi di grassi, ancorché buoni. Come quelli della frutta secca. Ma l’app non è che me li sconta. Li calcola eccome. Per la prima volta oggi, nel provare a inserire uno spuntino ho ottenuto una condizione insperata: avrei assunto, compresa la cena, 1100 calorie totali con una perfetta commistione dei macro (precisamente 50/31/18). La felicità si è sommata al traguardo dei due chili persi; chili che, con la logica LIFO dei flussi di magazzino, ultimi a entrare, primi a uscire. Sono i chili della quarantena per intenderci, ma in coda come alle poste adesso ci sono gli altri, i più affezionati. Quelli che non mi mollano da Natale e che ho ritrovato proprio come le signore dei sottani, braccia conserte, che rinnovano l’appuntamento estivo cicaleggiando fuori della loro porta di casa. Poi l’imprevisto a cena. Nel pregustare la mia insalata greca, la feta mi tradisce. Pesa non 80, ma 110 grammi. "Che saranno mai trenta grammi", mi dico. Invece sono grassi. 6 punti percentuale in più. Tocca aggiungere all’insalata un pomodoro e anche un po’ di rucola. Diminuisce il valore percentuale dei carboidrati. Aggiungo altri 15 grammi di pane ai cereali per convincere i grassi ad arrendersi. Totale calorie della giornata: 1338. Mentre scrivo bevo una tisana pancia-piatta a base di foglie di the verde. Raccolte direttamente in India. Oggi vi parlo d’amore. Come mai? Perché penso non se ne parli mai abbastanza e perché come canta Brunori Sas di che altro vuoi parlare. (la canzone la posto in chiusura. Bellissima perché senza pretese, come dovrebbe essere l’amore). Ci ho pensato mentre mi stavo macinando dentro una riflessione e sono partita con i paragoni delle mie storie passate. SBAGLIATO! Non si fa. Come si possono paragonare i sentimenti e le persone. Allora ho raddrizzato il tiro e mi sono chiesta quante delle parole d’amore pronunciate o scritte in determinati momenti io abbia sentito vere. Tutte vi direi, se ripenso a quando le ho vissute, ma poi che ne è stato? Le mie relazioni possono riassumersi così: una giornata al mare, l’unica che puoi permetterti in un periodo di lavoro folle, in cui ti ritrovi fradicio sotto un temporale estivo a pensare “Ma quale stagione dell’amore, porco dio Apollo!” Non dovrebbe l’amore essere intramontabile e invincibile come ci insegnano da duemila anni Rossella e Rhett e anche un po’ Temptation Island? Invece in questi ultimi anni ho iniziato a credere che sia qualcosa di molto più concreto, biologico direi, l’amore che siamo in grado di sperimentare. E se è vero che le cellule del nostro organismo si rinnovano completamente ogni due, tre giorni, allora resiste solo l’amore capace di trovare appiglio in una nuova cellula e, replicandosi, mantenere alti i livelli di ossitocina, comunemente chiamato l'ormone dell'amore. Come lo fa? Attraverso i gesti, le parole, qualcosa capace di muovere una reazione chimica di qualche tipo. Perfino le carezze e un abbraccio hanno questo potenziale. Perché a ben vedere non solo siamo autorizzati al cambiamento costante, a disamorarci perfino se il tal tizio o la tal altra non s’incastra più con il nostro benessere, ma sarebbe necessario e opportuno cambiare qualcosa ogni giorno. Nella realtà invece ci sono le convenzioni, i patteggiamenti, per cui si resta insieme per motivi lontanissimi dall’ossitocina, il rispetto, la stima. Piuttosto per abitudine e per le transaminasi alte. Perché, nonostante il peso e la fatica, la gente trova più facile trascinare da un’alba all’altra le paure, la rabbia, le ossessioni, il rancore e il dolore. Mentre l’amore si smarrisce come il morbillo. Quando l’hai preso una volta sviluppi l’immunità. Ed è proprio mentre rischiavo di somigliare sempre più a Luciano Onder, che un messaggio scritto in un gruppo che bazzico, mi invitava a raccontare una propria esperienza di rinascita per lenire la delusione e le ferite di una storia d’amore finita. Per disamore, appunto. Mi ha fatto sorridere perché avrei dovuto spiegare tutto questo pippotto, ma ho provato a fare una sintesi. Ho ricordato l’ultima volta che mi sono dovuta confrontare con un sentimento disatteso. Nelle mie relazioni precedenti sempre. Non ne ho presa una che fosse una. E mentre ripensavo ai paroloni delle promesse e alle parolacce (in alcuni casi sì, pesanti e affilate) volate addosso ad alcuni, mi sono sentita improvvisamente fortunata. Se fossi rimasta sposata oggi sarei ricca di un matrimonio duraturo (è l’unico aggettivo che posso usare perché di fatto non so come sarebbe andata), ma decisamente più povera di tante esperienze che mi hanno resa sempre più consapevole di cosa significhi l’amore (soprattutto verso me stessa) e quindi tutte le persone che hanno permesso questo si rivelano, nonostante tutto, la mia salvezza. Forse le più belle parole d’amore le scrivo e le pronuncio adesso, quando lascio qualcuno libero di essere se stesso pur se questo disattende un’idea, una promessa, una speranza. Quando riconosco a un altro il diritto a essere meritevole di un amore nella stessa misura in cui lo desidero per me. E se per caso quel giorno è stato oggi, allora conservo dentro, ancora un po’, la gioia di vivere sentimenti che non creano guinzagli (soprattutto dentro di me), non fanno capricci e magari, proprio per questo, se domani dovesse essere il giorno in cui si rinnova tutto, ne ritroverei sempre una briciola disposta a riprodursi. Come un amico speciale che non ti abbandona mai e che se pure gli stanno sul naso i tuoi lunghi vocali, mai rinuncerebbe ad ascoltarne uno. Oggi è 21, il Numero con la n maiuscola. Che sia aprile (un mese che mi piace particolarmente) si carica di più significati. Oggi sarebbe stato l'anniversario di matrimonio dei miei nonni paterni. Purtroppo, un po' di anni più tardi, mio nonno mancò improvvisamente. Stessa data.
Quando mia nonna mi raccontava di questo particolare si adombrava un po'. E io con lei, partecipativa. Allora smetteva e parlava d'altro. Quindi - forse anche perché troppo piccola - non ho mai saputo nulla di più di quest'uomo se non che era alto un metro e novanta. Non so se lei si fosse sentita amata da lui, non so nemmeno se lo credesse un buon padre perché quando è mancato il più grande dei figli aveva solo 7 anni. L'unica immagine che conservo ancora di mio nonno è quella di una foto in una preziosa cornice rococò. Quando capitavo nei pressi di quel quadro mi fermavo sempre un po'. Fissando dal basso quello sguardo cercavo un luogo, un'idea che unisse la mia storia a quella di uno sconosciuto, nato a Porto Said oltre cento anni fa. So, da narrazioni successive, che a un certo punto gli sottrassero dalle mani la nave che portava su e giù per il Canale di Suez. Forse era stato questo il motivo dell'inabissamento improvviso della sua vita. Un uomo di mare non riesce a stare a lungo con i piedi per terra. Come per i sognatori. Non è il loro elemento. Mia nonna ironizzava dicendo: "avete preso tutto da me" alludendo alla sua statura minuta. Ridevo. Decisamente l'ironia si eredita. Poi null'altro. Lei era sarta, ma io non so attaccare nemmeno un bottone. Da lei ho ereditato un vestito e una valigia di frasi ironiche. Ripensandoci adesso mi spiace non averla inserita nell'elenco delle donne forti che ho stilato qualche giorno fa. Quello che invece ho scoperto parecchi anni più tardi e che non sapevo circa quella coincidenza di date che da piccola mi creava smarrimento e un senso di prostrazione, è che amore e morte (in greco, "eros e thanatos"), sono tòpos letterari ricorrenti. I tòpoi sono quei luoghi "comuni", quelle strutture create dalla fantasia degli scrittori e che i lettori sanno per certo di trovare per cui per esempio in un giallo ci sarà sempre un posto isolato e chiuso (una stanza, o una villa) così come in un romanzo d'avventura ci sarà il viaggio e la conseguente trasformazione del protagonista. Amore e morte. Siamo di passaggio. A ben vedere qualcosa di noi perdiamo ogni giorno, perfino l'Amore (dice qualcuno più bravo di me), non smette mai di preparare la propria scomparsa. Oggi so che alle radici della mia storia familiare, per quanto triste, c'è un luogo dove l'amore e la morte si uniscono e diventano narrazione, e quindi di nuovo vita. Pulsano come cuori, senza arrendersi, proprio come la migliore delle narrazioni. Seconda lezione dal balcone di casa nella mattina di Pasqua.
Sono qui da oltre un'ora. Volevo semplicemente rilassarmi al sole, ma è stato praticamente impossibile. È proprio vero che è sufficiente stare fermi in un punto per vedersi passare davanti tutta l'umanità. La prima cosa a raggiungermi ovviamente è stata la musica (si è passati da Zarrillo alla tigre di Cremona) che tuttavia non riesce completamente a sovrastare il cinguettìo gioioso, decisamente più gradevole della litania triste che si diffonde da un angolo della strada e che dovrebbe inneggiare al dì di festa (ma ci torno dopo). Vedo parecchia gente in giro. Gli uomini, forse per sfuggire alle quattro mura casalinghe e alle mogli che ora conoscono meglio, improvvisano una riparazione urgente all'auto (dove dovranno poi andare?). Un signore nel palazzo accanto rimprovera un altro a passeggio col cane senza mascherina che dialoga amabilmente con un passante senza rispettare le distanze di sicurezza. Iniziano a battibeccare e quello senza mascherina ne asserisce l'inutilità e la sua assoluta libertà di pensiero e di azione. L'uomo sul balcone tace e dopo un po', sparge auguri agli altri condomini. Lui è uno che non si arrende. La signora del piano superiore al suo invece, prende a spargere su tutti noi la polvere e gli acari dei suoi tappeti (è pur sempre un dono) facendo innervosire l'inquilino sulla mia testa. "Signora, ma potrebbe anche guardare prima!" Risentita forse perché scoperta, la signora ribatte: "Ma è pulito!". Mi fa pensare che forse è vero che il tappeto sia pulito, ma allora quanti gesti inutili facciamo durante una giornata? Per riflesso incondizionato un signore, due palazzi più giù, si muove frettoloso col suo aspirapolvere. Forse teme che gli acari siano stati portati fino a lui. Intanto da un balcone del palazzo di fronte le parole di una messa recitata con l'ausilio di altoparlanti si mescola al resto e cerca di sovrastarlo senza successo. infatti, beffa del caso o forse perché il messaggio è sempre lo stesso, ma sceglie fantasiosi mezzi, un Celentano dei primi Sessanta intona "Pregherò, per te! Che hai la fede nel cuor". Ora, senza screditare nessuno, perché mi sono pure presa la benedizione finale che ricambio, la canzone mi è sembrata più vitale, incisiva e "leggera". Di questa mia nuova suggestiva immersione nella natura avevo però sottovalutato quello che credevo appunto trascurabile, ovvero l'incapacità di gestire il rapporto con gli insetti. Non sopporto di sentirli addosso. Sì, lo so, non possono farmi nulla, eccetera eccetera, ma è più forte di me. Avevo sentito svolazzare qualcosa sulla testa, ma credevo che agitare il braccio a caso avesse fatto da deterrente. Fino a quando ho sentito qualcosa che si muoveva tra i capelli che nel passare la mano ho urtato e fatto scivolare via. Era un incrocio tra uno scarafaggio e uno scarabeo che tuttavia non ho fatto in tempo a mettere a fuoco perché sono saltata dalla sedia e scappata via con un urlo. L'esserino dopo un momento di smarrimento identico al mio è volato via. Dalla seconda e ultima lezione sul balcone è tutto. Ho capito che tutti abbiamo bisogno di farci udire (anch'io dopotutto affido i miei pensieri a questa pagina) e tutti parliamo contemporaneamente convinti di avere più diritto e ragione. Il segreto sta forse allora nel saper tacere. Viva la tolleranza e pure le zanzariere. Oggi sono andata a lezione sul balcone. Non sapevo si sarebbe rivelata tale perché in verità tutto è iniziato perché ho guardato fuori dalla finestra anziché la tastiera del pc che mi aspettava. È accaduto proprio questo. Stavo per sedermi alla scrivania per iniziare la mia routine e forse per la prima volta in assoluto da quando vivo in questa casa, ovvero 30 anni, ho fatto un gesto non automatico. E allora mi sono chiesta: quanto tempo delle nostre giornate possediamo davvero? Ripropongo meglio. Quanto delle ventiquattro ore riusciamo a vivere sentendoci in totale libertà di essere e soprattutto di improvvisare? È una facoltà che sanno gestire bene i bambini anche se poi pian piano, crescendo, gli adulti li incapsulano in tabelle di marcia a ridotto apporto di ossigeno. Come erano invece le giornate quando eravamo piccoli? Infinite e avventurose. Lo abbiamo dimenticato. E se questo lockdown volesse farci il regalo di ri-scoprire come riempire un tempo improvvisamente svuotato di impegni, di obblighi e di scadenze?
Quindi stamattina ho guardato fuori e mi sono sentita felice perché c’era il sole. Quell’attimo minuscolino di dimenticanza, come l’avrebbe chiamato Totò, mi ha fatto desiderare di sedermi col naso per aria a godere un panorama inusuale per quest'ora del giorno, come lo vedono solo le piante e gli uccellini che vengono a posarcisi sopra e per cui qualche volta, quando desideravo l’assoluto silenzio, ho provato fastidio e intolleranza. La scaletta della mattina prevedeva una sessione di inglese, il controllo della pagina del blog, poi la posta (che come sempre avrebbe tirato giù nuove incombenze per le quali sarei finita, borbottando, a fare la cosa più urgente e in seconda battuta – forse – quella importante). Sono abituata, ben prima del coronavirus, ad avere tempo extra da gestire ed è il vantaggio di avere un lavoro part time su turni. Eppure stamattina, nonostante la piena autonomia in cui mi muovo da sempre, mi sono sentita prigioniera di quella quotidianità che io stessa ho costruito negli ultimi quattro anni. Sarà che qualcuno mi ha suggerito di creare nuove ritualità, di provare a respirare in modo diverso, ascoltando il vuoto e il pieno che ne consegue. Così ho fatto. Insieme al respiro ho lasciato andare gli impegni che mi ero data nella successiva mezz’ora e mi sono concessa di andare in un posto per me nuovo in questa ora del mattino: il balcone di casa. Ci vado solo per pulirlo e sistemare le piante. Ho preso il posto dell’altalena che è sempre stata lì, orientata a ovest, e mi sono sistemata col viso in pieno sole. Un cinguettìo mi ha distratto e sono tornata a guardare le piante. Un paio arrivano dalla casa in cui abitavo, sono delle rampicanti che in estate si riempiono di fiori fucsia bellissimi. C’è un aloe che fu regalata a mio padre dalla segretaria della sua naturopata. Era piccina quando arrivò, ma adesso occupa un vaso tutto suo. Ogni tanto vado in affanno perché le punte delle foglie si seccano, ma tolte quelle riprende con più vigore e il mio respiro torna regolare. Nei vasi più grandi, posati a terra, ci sono i gigli. Credo sbocceranno a breve. Un’unica comparsa regale, pomposa per poi sparire per un intero anno. Sono i Paganini del mio balcone. C’è una pianta dalle foglie spesse e carnose, anch’essa regalo di un’amica di famiglia. Non so come si chiami. Non conosco i nomi di quasi nessuna di loro, ma in questo periodo ogni anno sboccia un fiore che si dirama in tante piccole campanelle arancioni. Ha subito intemperie e temo sia stata attaccata da acidi caduti durante la ristrutturazione della facciata, ma ha resistito. Le tre piantine più recenti risalgono al settembre 2018. Erano degli innesti che portai a casa in una busta anonima, dono di un’amica. Temevo non sarebbero mai state rigogliose come quelle da cui erano state separate, invece. Una di loro convive benissimo con la rampicante; i loro rami sono così intrecciati che hanno modificato l'uno la traiettoria dell'altro come se fosse una danza. La Natura lascia che sia. Non ho un grande pollice verde come mia nonna e spesso non faccio sopravvivere a lungo neanche il basilico, ma queste piante le curo sperando sempre che i miei interventi su rami e foglie secche non siano distruttivi. Pare perfino che l’ultima drastica potatura, su una in particolare, abbia contribuito a far nascere foglie rigogliose e vitali. La natura non si preoccupa. C’è una cosa ancora più sorprendente. Il vento, o forse gli uccellini, fanno sì che nascano spesso piantine spontanee e fili d’erba che tuttavia, moltiplicandosi, soffocherebbero il già esiguo spazio delle altre. Quindi li estirpo senza pietà. O così credevo di aver fatto anche con le ultime minuscole foglioline che stavano creando una specie di manto erboso. Anziché sparire come accade di solito, oggi erano raddoppiate e a fare capolino, ancora più minuscoli, dei bulbi. Era pure sbocciato un fiore. Sembrava la miniatura di un mondo delle fate. Forse per un tempo infinitesimale e per nulla lineare, sono diventata piccina anch’io e mi sono sentita proprio come quel fiore, minacciato dall’alto da una forza estranea che senza una vera ragione passa, prende e strappa tutto via. Per una frazione di secondo vedermi dal basso è stato utile perché tornata alle dimensioni originali mi sono ritrovata a fissare sorridente l’espressione di un mondo la cui bellezza a volte sento di non meritare. Io, che non avevo nemmeno compreso che quello fosse il fiore della pianta spontanea. Davanti a tanta meraviglia ho deposto le armi. No, non meraviglia, un piccolo miracolo, sapendo con quanta sciatteria di gesti avevo trattato quei primi germogli. La Natura è magnanima. Ho guardato l’orologio. Era passata mezz’ora. Sotto il sole, in mezzo alle piante del mio balcone, quelle stesse che ho sempre guardato con fretta e dall’alto, mi sono rigenerata meglio di quanto abbia sempre fatto il mio americano tutte le mattine della mia vita. Un fiorellino di pochi millimetri mi ha insegnato cos’è la caparbia ostinazione a esserci, nonostante tutto. E voi, da quale avventura vi farete rapire domani? Entro nel punto vendita di una famosa catena che produce cover di profumi per spendere un buono.
Amo i profumi da prima che nascessi perché mia madre li ha sempre indossati. Se entro in profumeria, pur sapendo che 99 volte su 100 acquisterò quello che contraddistingue quel periodo della mia vita, è più forte di me: devo provarli. E illudo le commesse, lo so. Perché io stessa mi illudo che qualcosa possa essere cambiato dalla volta precedente e quindi sia arrivato il momento di farsi ri/conoscere attraverso una nuova fragranza. Niente. Sono uscita con la "cover" del profumo che uso ormai da 5 anni. La commessa (annoiata perché sola nel negozio) ha ascoltato tutta questa tiritera che vi ho raccontato e infine per suggellare la mia idea, aggiunge: "Del resto è questo il compito di un profumo, diceva Coco Chanel: annunciare la persona che lo porta. Quindi lei non sbaglia a non cambiare. A parte stasera che è multisfaccettata". Menomale che era solo la commessa e non la psicologa perché credo mi abbia detto che ho un disturbo della personalità. La premessa è che io vado in giro a ogni ora del giorno come se fossi sempre appena uscita da un after party (stordita). La verità è che se sono da sola ne approfitto per fantasticare nuove storie, rimuginare le risposte giuste che mi chiedono le amiche circa le loro chat, pensare a qualche nuovo e originale insulto semmai dovesse farsi vivo qualche ex, cose così.
Poi invece la realtà a volte ti chiama mentre stai per esempio ritirando dalla sarta un paio di pantaloni. Avevo notato un tipo che mi guardava con una certa insistenza sorridendo (di solito accade quando dall'altra parte pensano che io li riconosca. Invece sappiate che oltre i problemi di memoria, la presbiopia mi crea difficoltà anche da vicino). Insomma il tipo, avendo esaurito la posa sorridente, e forse arreso alla mia incapacità connaturata di collegare luoghi e persone, mi dice: "Va bene che sono passati 20 anni, ma non penso di essere cambiato così tanto! Alessandra, sono Tizio Caio". Lui, un ex collega (i cui lineamenti ho poi riconosciuto e associato al ragazzo - giovanile tutt'oggi -) con cui ho condiviso la prima parte della mia vita da ragioniera. Ora io a Tizio Caio sono particolarmente riconoscente perché anziché abbandonarmi a complessi calcoli analitici per capire chi fosse, mi ha svelato subito il nome. Ma la cosa per cui ha letteralmente sbaragliato ogni avversario per la conquista del mio buonumore giornaliero (semmai ce ne fosse stato uno) è quella di aver subito detto: "Sei dimagrita! Ti ho vista anche su Antenna Sud!" Ho tralasciato di descrivere gli tsunami emotivi e di grassi saturi che mi hanno investita a più riprese in questi anni e mi sono goduta il riconoscimento come anticipo per quando conquisterò il premio Nozzy. Anzi, gli sono stata così riconoscente che contravvenendo alle prescrizioni del ministero della salute l'ho pure abbracciato. Quindi amici, a costo di infettarci, teniamoci stretti quelli che incontrandoci dopo un ventennio ci sollevano dall'imbarazzo suggerendo subito il proprio nome, ma soprattutto, prima di un generico "cosa fai adesso", vi dicono "come sei dimagrita". #lebasiproprio #amicimaschi #iocosivivogliopiubene |
Alessandra NennaParlo e scrivo dal basso. Archivi
Gennaio 2024
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La storia c'è. Facciamone un romanzo vero Il libro c'è. Voi? 0,18181818 Il titolo che vorrei Rinunce Rapsodia, insieme per resistere. Scrivendo La settimana della "Revolution" Lettere dal passato 1001. Traguardi e nuove partenze OMG... L'ho fatto davvero Sottolineatevi... in verde Storia di una matita rosso-blu... e una gomma Matematica e profumi Il talento On LifeCome ti aggiorno il CV: a voce
La misura dell'amicizia Parco della lavanda, una prospettiva unica Tema, la fede La mamma dei miracoli Cara amica mi scrivo Elogio della lentezza Guerriere senza veli La felicità è un muscolo Pippo e il paradiso di Konrad Lorenz Svegliarsi... altrove Quando il web parla della tua vita Ri-conoscere il passato per dirgli grazie I grassi (saturi) vanno ignorati Amore: un amico speciale che si rinnova ogni tre giorni Alle radici della narrazione A scuola di tolleranza A lezione sul balcone Che un profumo vi annunci Non Ciao, ma Ti vedo dimagrita Ho perso le parole La chiave della felicità Un giorno forse torneremo qua I miei ex fidanzati (immaginari) Scrivere a Babbo Natale Avete tempo per una buona notizia? Dieci cose di me Giardini d'infanzia Gli sguardi dell'Amore Una radio sintonizzata sul futuro C'è molto di te in me Trova le parole per me La blue girl della mia infanzia Gente arcobaleno Venti non anniversari e una valigia senza peso BlogDrusilla, l'unicità dietro la maschera
Quello che non (mi) scende A message in a book La paura ha paura L'ombra della luce La filosofia in una camminata Anche una crepa... La misura della felicità Siamo endiadi a metà Rapporti di platino Di quel paese chiamato Amore De/sidera... pensarsi oltre E se foste un libro da salvare? The great gig in the sky Manuel Vilas, 100 comandamenti più uno La stanza del Mago Ezio Bosso Se avere talento pesa Ma tu, che paura hai? Quando a mancare è il respiro E voi, come vi state proteggendo? L'ulivo che vuole essere preso in braccio Un virus legale e la gioia bambina Fate virale la gentilezza Leandro e le cassette dei sogni da montare La maschera e il volto Somewhere over the rainbow... there's Judy Il saluto salutare Condividete e moltiplicatevi A Natale regalatevi un T.E.A.M. Te lo dico in un vocale Vi svelo un segreto Come un calzino spaiato La fata delle scarpette Maleficent a modo mio Profumi di nuovo Gratitudine. Un motivo al giorno Om... e torno a casa Come avere successo in amore. Forse Parole da salvare Dimagrire. 4 consigli non richiesti Giovanni e la birra annacquata Nuovi passi hanno bisogno di nuove scarpe Riflessioni allo specchio La vita come un applique fulminato Come potenziare la sfiducia negli acquisti on line HappyhandZoombombing aziona circuito di beneficienza
Andrea, una Dolcilandia per i bambini poveri Minoo, il presente è melodia Manos Blancas Puglia: happyHand su misura Un paio di scarpette contengono 50 grammi d'amore Laura's Art Studio. Quando la bellezza sta in una mano Esprimete un desiderio. FommyartLu lo cuce per voi Leandro e la cas(s)etta delle idee Urtare un totem e trovarci una città Valencia a modo mioCasa Nenna |