La premessa è che ho i miei anni. E quindi taaaanta esperienza in diversi settori professionali. Sarà che sono nata il giorno 28 e, come dice un esperto di numerologia, sono una persona che fa e disfa. Incapace di pensarmi arrivata e soddisfatta proprio lì, nel momento presente. Con una visione a ciò che voglio essere e lo sguardo rivolto al passato per cercare di salvare qui e là qualche competenza da portare nel futuro.
Potrei inventarmi la scrittura di curriculum divertenti per fare la guerra agli attuali algoritmi freddi e calcolatori che incasellano esperienze e capacità come se fossimo prodotti in serie proprio come i computer. Tutto questo nasce dal fatto che qualche giorno fa mi hanno detto che ho un CV non allineato ai nuovi standard europei. Ed è vero. Non aggiornavo il profilo da tempo, ma avevo idea che, esattamente come accadeva "enne" lustri fa quando i CV si inviavano con le colombe di Noè, che nelle aziende ci fosse, oggi come allora, un essere umano di votata e comprovata pazienza addetto a spulciare e valutare l'insieme delle esperienze professionali già fatte dagli ipotetici candidati. E invece no. Oggi coloro che assumono si avvalgono di sistemi automatizzati che fanno "il lavoro sporco" di scremare i curriculum sulla base di algoritmi e "tag" (parola chiave che in questo caso potrebbe identificare e categorizzare un certo mestiere svolto). Insomma, individuare correttamente la mansione e indicare le proprie competenze selezionando dal menu a tendina la giusta voce potrà fare la differenza tra il restare a casa a preparare crostate o trovare un nuovo lavoro. Insieme e sottoinsiemi di categoria accorpano e pretendono di sostituire l'esperienza concreta. , Tutta questa brodaglia di parole per dire che è da oltre mezz'ora che sto cercando un ruolo che possa riassumere la mia esperienza di Ufficio Stampa, ma l'algoritmo non lo riconosce come lavoro (e forse ha pure ragione). L'Ufficio Stampa è un mantra così personale (in termini di contatti con i colleghi giornalisti nelle redazioni, di gestione dello stress, di incastri tra i diversi incarichi) che l'intelligenza artificiale potrebbe performare e superare in quantità senza dubbio l'essere umano, ma mai raggiungerlo. Ecco dunque che il menu a tendina mi propone nella ricerca l'addetta allo stampaggio di cinghie di trasmissione, la collaudatrice di circuiti stampati, il responsabile di stampa e perfino l'esercente di negozio di armi (sic!), ma un ansioso e assonnato (nel senso di mancanza di sonno) "ufficio stampa" NO. Caro Europass facciamo cosi: fingiamo che quei quattro anni non siano mai esistiti. Nel caso interessi a qualcuno lo spiego a voce. #europasscv #nefacciounmestiere #cometiaggiornoilcv
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Poche cose mettono alla prova le amicizie più datate. Nella mia esperienza ne conto almeno due: Taboo, il gioco da tavola, e l'All you can eat giapponese (quando si è in più di 4 persone). Uno stillicidio a piccole dosi se ci si ferma a pensare che i convocati sono sempre gli stessi. Se si sopravvive, se ne esce fortificati. Proprio nel senso di unione che si sviluppa dopo aver vissuto una forte esperienza assieme. O in sovrappeso.
Intanto, in considerazione dell'arrivo alla spicciolata si creano le fazioni tra quelli che arrivano per primi e i ritardatari loro malgrado. Sì perché una volta conquistata la propria posizione a tavola e nonostante gli sforzi di mantenersi indifferente al proprio senso di fame, acuito dal digiuno preventivo, si opterà per "spiluccare" qualcosa nell'attesa. Ma il giapponese (inteso proprio il cameriere che ti serve) non è come quello italiano che conosce il rito dei convenevoli e la sacralità del convivio. Lui nasce di fretta e in fretta vuole sbarazzarsi di te. Per cui, se provi a ingannare lo stomaco cercando qualcosa che si avvicini al companatico come le nuvole di gamberi o la soia da sgranellare come i piselli freschi, stai fresco tu. Ti rimprovererà di avere tloppo poco ordinare puntando il dito sulle due colonne semivuote del foglietto che guardi deluso e un po' pentito di non aver optato per il pub all'altro lato della strada. (Come Paolo che odia proprio i menù e si rifiuta pure di interpretarli). Prevedendo l'abbuffata successiva tenti ancora di essere morigerato e opti per una coppia a testa di filetti di tonno e salmone appena scottati. In questa fase sei ancora lucido e gonfi il petto fiero di essere riuscito a contenerti quando gli altri sono finalmente tutti seduti. Ma è proprio in quell'arrivo a singhiozzo che si nasconde il seme della disfatta finale. Sì perché gli altri, incuriositi e ingannati dall'esiguo numero di pezzi nei piatti già serviti, continuano a ordinare. E quindi vai di gyoza e involtini tailandesi, la cui unica differenza rispetto a quelli primavera è il ripieno di carne. Qualcuno sulla scia di un entusiasmo che sa già di indigestione, arriva a dichiarare pubblicamente che non vorrà mangiare altro per tutta la sera. Il culmine del disagio si raggiunge quando designato l'agnello sacrificale che come un provetto amanuense redigerà a mano l'ordine finale, parte la tombolata del menù. Dovrebbe insospettire il fatto che si compone di non meno di 20 pagine con sottocategorie di piatti, varianti di roll, sashimi, tartare e relativi ingredienti da creare (scientemente) uno stordimento acuito dal fatto che ogni piatto, per noi stolti occidentali, è identificato da un numero. Ed è così che alcuni decidono di mettere al servizio le proprie competenze. L'ingegnere si affianca al maresciallo, entrambi nel settore aeronautico, per valutare la fattibilità di una strategia militare che offra un sorvolo radente su una condizione sempre più "calda". La difficoltà è tuttavia coordinare tredici volontà con esigenze e gusti differenti. Ciascuno (animato da un senso di solidarietà non richiesto) sceglie uno o più piatti da ordinare convincendosi che vorranno assaggiarne tutti gli altri. Alcuni si compongono di soli 2 pezzi per cui, cosa mai potrà influire questo minimo desiderio sul totale? Proiezioni di panorami futuri che nemmeno alchimia e fisica quantistica insieme hanno mai esplorato. E le porzioni lievitano. Prendo 79, 82 che sono 8 pezzi a piatto, allora facciamo 2!, urla una voce da un capo del tavolo. Ros, fai 115x1, 179x6, 54 solo 2 e 65. E la nostra certosina amanuense continua a scrivere. Fidandosi. Ci sono anche i poke! sento dire mentre una voce dal lato opposto, in piena amarcord e nonostante i 65 piatti già in lista afferma sicura: Ooh, ma io voglio assolutamente gli spaghetti di soia! Piccanti, certo. Quello che invece sappiamo tutti, ma che si preferisce ignorare come quello che sfreccia a 120 all' ora davanti all'autovelox sperando di farla franca, è la regola biblica dell'All you can eat: ciò che resta nel piatto, si paga. A prezzo pieno. Nel frattempo ila tavola inizia a riempirsi. Senza alcun ordine e senza che nessuno si prenda la briga di annunciare ciò che viene servito (tanto non capiremmo nulla lo stesso). Quello che può aiutare a fare scendere il cibo allora è innaffiarlo senza pietà. E se c'è una cosa di cui possiamo vantarci è l'apertura mentale. Non siamo come quelli che vanno all'estero e mangiano solo pizza. Quindi Psang tao per tutti, la "birra della casa". Qualcuno ha ipotizzato fosse la Peroni a cui hanno cambiato l'etichetta. Fatto sta che ho contato almeno 10 bottiglie medie. All'arrivo della tempura la temperatura a tavola ha raggiunto il punto di fumo. Non è stato tuttavia un miraggio vedere serviti 16 pezzi di gamberi ricoperti di noccioline e diversi altri con una pagliuzza (il kataifi) che vorrebbe essere pastella in filamenti e fritta. Inizia la fase delle accuse aperte: e questi chi li ha ordinati? Una voce si leva determinata. Io! Ma ne ho presi due per me. E gli altri? In risposta fa spallucce e tutti guardano in direzione di chi ha scritto l'ordine, che però ha l'unica colpa di aver assecondato il flusso delirante. Sarebbe potuta finire già qui se non fosse che lo stesso cameriere che ormai sentiamo nostro amico arriva con non una, ma due vasi di ardesia (quello è l'aspetto) profondi e fumanti: IL RAMEN! Una brodaglia che diventa tanto meno appetibile quanto più fuori cresce il tasso di umidità. Credo di aver sbagliato io, dice qualcuno mentre vedo scendere goccioline luminescenti lungo la vetrata. Qualcuno finge una impellenza, mentre il poke continua a circolare avendo però ricevuto diversi assaggi. Ma quello è il poke che ho ordinato per Paolo! aggiunge il commensale al mio fianco mentre lo vede passare senza poter fare nulla nemmeno per fermarlo perché continua a reggere dei piatti che non sappiamo più dove posare. In questo frangente ho visto perfino gente decidere di riprendere a fumare dopo aver smesso da 6 mesi. È tuttavia nei momenti di necessità che nelle persone si fa strada un misto di creatività e ingegno. La svolta sono le borse delle donne. Perché finalmente questo spiegherebbe il perché siano sempre così grandi. Per farci stare gli avanzi dell all you can eat, of course! Peccato che di sera quei bagagli a mano ingombranti di giorno subiscano una repentina inversione di tendenza e si riducano come le prugne secche. Penso che una spiegazione plausibile sia che questo sistema l'abbia elaborato un signore burlone che si sia parecchio divertito a vedere come la gente riesca a uscirne senza ricorrere a una lavanda gastrica. Una specie di gioco senza frontiere dei trigliceridi. Ne siamo usciti. Dal ristorante, intendo. senza pagare il supplemento nemmeno per le due vasche di "Piomben" come Antonio (che di pesantezze fritte è un esperto!) lo ha rinominato dopo questa esperienza. La borsa di Annamaria invece puzzerà ancora di gamberi e noccioline almeno fino al prossimo inverno. A voi, che siete come la pasta kataifi: fili sottili che insieme regalano consistenze irrinunciabili. #giornatainternazionaleamicizia #sushi #allyoucaneat Settimana scorsa sono stata al parco della lavanda. Embè?, Mi direte. Ve ne parlo perché ha rappresentato una parentesi straordinaria, nel senso di bellezza percepita, ma anche di eccezionalità in una routine che non la vuole smettere di girare su se stessa come le ruote dei criceti. Avrei voluto scriverne subito, ma le mie tempistiche mal si accordano nell'ultimo periodo ai ritmi del mondo esterno. A casa abbiamo ancora da festeggiare il Natale 2022. Per dire. Tornando alla mia escursione e qualora abbiate in mente di passare un giorno delle ferie a sgambettare tra i filari di lavanda, posso solo dire in maniera semplicistica che ne vale la pena perché l'aria rarefatta dell'altitudine (1000 e passa metri sul livello del mare) e l'effluvio della fioritura vi calmerà di botto come se foste appena entrati in una fumeria d'oppio (vorrò bene doppio - ma anche d'oppio - a chi coglierà la citazione cinematografica 😉). Per quelli pragmatici che vanno alla concretezza delle informazioni, potete fermarvi qua. E vi allego pure una foto. Per quelli che invece amano leggere le storie alternative a metà tra Amélie Poulin e Bridget Jones, ho materiale per voi. Sì perché fin da quando ho iniziato a sbirciare attraverso la rete di recinzione del parco la mia attenzione è stata catturata da un ragazzo paffuto di cui già a distanza percepivo la temperatura corporea simile a un geyser islandese che eseguiva ordini direzionando l'enorme disco argenteo tra le braccia verso la coppia che, con molta probabilità, preparava le pose del futuro romantico album. "Ecco", ho commentato verso chi lamentava l'aver lasciato il bus e la frescura dell'aria condizionata, "immaginate di essere al posto di quello lì". Alle 16.45 varco lo scenografico ingresso in tinta. Di lì a pochi minuti una voce calda e accogliente, annuncia per gli interessati il successivo tour attraverso il parco. Nonostante le distrazioni di colori e i particolari che avrei voluto immortalare decido di concentrarmi sull'ascolto della nascita del parco, oggi ancora gestito dalla famiglia proprietaria e della scoperta quasi fortuita delle prime piantine autoctone (da cui il nome "loricanda"). Vengo però distratta da una bambina intenta a giocare con le api. Qualche secondo col fiato sospeso mentre le vedo immergere le manine tra le biglie colorate di una vaschetta che cita "abbeveratoio per api", ma la sua naturalezza e l' indifferenza delle api che ci svolazzano intorno acquieta anche me. Riprendo ad ascoltare la guida che tuttavia ora mi appare un po' accelerata e d'un colpo mi punta il dito inviandomi un'informazione nuova: la lavanda più pregiata non è francese, bensì inglese. Non faccio in tempo ad assorbire la delusione per il declassamento del mio imperituro amore per la Francia tutta, che il gruppo invitato dalla guida si volta a guardarmi proprio mentre nella lavanda british pregiatissima ci sto per cascare in mezzo non avendo visto il cordolo di pietre che la delimitavano. Quindi il tour prosegue lesto tra i mix di erbe e spezie compresa una insolita menta al cioccolato. Ci autorizzano a strofinare foglie e fiori con l'unica accortezza di non reciderli per non danneggiare le piantine e soprattutto per evitare punture indesiderate delle api che sono decine di migliaia, ma ci ignorano. Mi guardo intorno e sentendomi come Pinocchio che ha appena vinto il biglietto per il paese dei balocchi, torno indietro per accarezzare tutte le tipologie di lavanda presenti. In lontananza scorgo ancora il ragazzone con il disco che ora è dorato. Mi chiedo da quanto siano qui, forse dall'apertura pomeridiana, ben oltre un' ora prima. Con i due novelli sposi e il fotografo mi sento la Steve McCurry de noialtri in procinto di scattare la foto che parla dell'amore al tempo del digitale. Spezie e fiori sono tuttavia più magnetici di qualsiasi sbordatura di ego e proseguo la visita senza più istruzioni, ma tutta a sentimento. Cammino tra i filari e mi lancio a respirare le sommità fiorite dimenticando che le api stanno facendo altrettanto. Se non ne ho aspirata alcuna è perché percependomi come una povera cittadina in cerca di emozioni si saranno tenute (loro) a distanza di sicurezza. Le specie di lavanda arrivano da ogni parte del mondo assecondando i viaggi dei proprietari della tenuta che ne hanno fatto prima una passione e poi un lavoro. Pare che aziende come la Carlo Erba e quelli della brillantina Linetti si siano riforniti proprio da questa grande coltivazione calabrese. Cerco di raggiungere la sommità di una collina su cui svettano due omini stilizzati realizzati con i covoni di grano tagliato e fiancheggio la coppia che evidentemente ha scelto il Steve McCurry di Campotenese che insiste decine di minuti nella stessa posa dando ordini perentori: "Sposo guarda la sposa con desiderio"; "Sposa avvicina la guancia al collo dello sposo. NO! non toccatevi!; "Sposo avvicina le labbra alla spalla. Ma NO, non così vicino". Guardo in volto il ragazzo che finalmente ha le mani libere e lo sguardo imperlato verso la collinetta dove forse medita di fuggire per non tornare mai più indietro. Avrei voluto scambiare un'occhiata di intesa con questo lui che immagino definitivamente single fino alla fine dei suoi giorni. Raggiungo la collinetta e recupero in uno scatto le sommità delle altre cime di cui un cartello serigrafato indica i nomi. Torno a valle in tempo per raccogliere la seconda parte del tour che ora ha a capo un'altra ragazza meno spazientita della prima. Ci porta a scoprire le procedure di distillazione e ci fa provare le diverse intensità di profumo spiegando le differenze di impiego tra idrolato e oli essenziali. Naturalmente arriva anche per me il momento foto ricordo e con l'amica dei viaggi improvvisati torno a cercare la prospettiva migliore. Intanto tra oli e profumi naturali siamo stordite peggio che a un happy hour e incrociando ancora la troupe fotografica (sempre loro!) - forse libera da freni inibitori - la mia amica si lascia andare a una serie di improperi sulla monopolizzazione della porzione di parco più scenografica. La seguo in silenzio perché temo si deconcentri per gli scatti "da copertina" che le ho chiesto e adesso, passandogli davanti, osservo finalmente gli sposi immaginando sui loro visi la felicità e la serenità che si respira tutta intorno. Lui guarda lei imbronciato. Lei guarda scocciata altrove e parecchio incazzata il fotografo che è in pieno orgasmo creativo. Come Dio vuole riusciamo a scattare le nostre di foto e abbandonare l'area protetta dalla "squadra matrimoniale" giusto in tempo per incrociare una nuova coppia che però è in autoproduzione: il fidanzato è anche fotografo. Lei ha comprato un vestito che riproduce esattamente i colori e i fiori di lavanda. A vederla da lontano sembrerebbe un filare che si agita come un'onda anomala prendendo forme inconsuete. Chissà lo stordimento delle api. Abbiamo lasciato il parco alle 1830. Il fotografo di cerimonie era ancora tra i filari a immortalare adesso l'odio dei visitatori. Auguri agli sposi. Zoomando l'immagine panoramica (in basso a destra) vedrete la squadra del fotografo in azione Da un mese a questa parte quasi ogni mattina dedico un’ora alla scrittura. Puro e semplice (non sempre) esercizio riguardo qualcosa che sto studiando e approfondendo. In questo periodo il focus è sul tema delle storie. Il tema è qualcosa che ci parla oltre, qualcosa che permea non solo la trama di un racconto o di un romanzo, ma ogni particolare dei personaggi, i loro dialoghi, perfino i dettagli che scegliamo di aggiungere a una scena.
Se fosse una pubblicità, sarebbe il payoff, la frase che sintetizza il senso di un marchio, come dicono quelli che lavorano a far moltiplicare le vendite e il gradimento dei prodotti. Think Different (Pensa differente) dice Apple che però ambisce a costruire attorno a sé una comunità di persone che si identificano nel possesso di un prodotto marchiato come elitario “sentendosi” differenti. Chissà cosa accadrebbe se iniziassero davvero a pensare. Scendendo ad argomentazioni in cui mi trovo più a mio agio come il cibo, il payoff di Muller è invece Fate l’amore con il sapore. Anche qui Muller non vi dice che lo yogurt intero ha più grassi saturi e che l’associazione amore e sapore vi farà guardare storto dalla vostra nutrizionista la prossima volta che ci andrete. O che le cose buone pesano sulla bilancia e pure qualche volta sul cuore. Ecco, questo è il tema. Nessuno però inizia a scrivere una storia avendolo ben chiaro. Emerge dopo un bel po' di scrittura e tentativi. Ho pensato così al paragone che spesso ho fatto tra persone e libri. Qual è il tema delle persone? Quando emerge? Certo non è la superficie, ovvero il titolo e la copertina. Potrebbe, ma perderebbe un bel po’ di magia. Quante volte avete comprato un libro solo per una bella copertina e un titolo accattivante? Io tantissime. Tuttavia non sono stati poi i libri che sono tornata a leggere. Avevano forse una trama ben costruita, ma nulla che dal fondo emergesse prepotentemente e mi portasse a riflettere anche molto dopo aver terminato la lettura. Forse il tema di una persona emerge come nelle storie, quando hai lasciato che ti facesse a lungo compagnia permettendo un contatto profondo oltre titoli e copertine. Il mio diario di studio voleva che oggi mi esercitassi in un compito improbabile: scrivere partendo dal tema. Quale? La fede. Non so cosa però mi ha portato a leggere un post dello scorso anno dove annotavo che c’era il sole. Appena sveglia ero andata alla finestra. Una pratica quotidiana che quindi faccio almeno da un anno. “Anche quando ci sono le nuvole”, avevo aggiunto. Sono stata felice di trovarmi coerente perché anche oggi in effetti davanti alla finestra sono stata grata di molte cose, nonostante le nuvole. Ho continuato a leggere, ma è sopraggiunta la tristezza perché annotavo che qualcuno a me abbastanza vicino stava male fisicamente; così male da non riuscire ad accorgersi che c’era il sole. Mi sono domandata chi potesse essere. Ho provato disagio e dispiacere per una memoria così labile nonostante il mio sentire partecipato. Il post proseguiva nel spiegare che il termine usato, “accorgersi”, era una parola interessante perché nell’accorgersi c’è il percepire in prima persona, senza intermediari o credenze ereditate da altri. In greco è METANOEIN, ovvero far giungere la tua mente più in là. Bello no? Questo sì che sarebbe “pensare differente”. Chiudevo quel post allegando in lettura una lunga storia che, in sintesi, decretava tanto la mia gioia che quel dolore all’impermanenza, a passare. Ma c’era di più. Nei commenti, una risposta insperata che mi ha fatto collegare quella morale al mio esercizio odierno sul tema. Tutto passa. Siamo destinati a passare anche noi. Tu solo permani sempre, diceva il saggio. Chi è questo Tu (maiuscolo, tra l’altro). Il tuo telefono? La tua casa, i tuoi vestiti, il numero dei tuoi follower? Tu, il tuo tema, ciò che hai voluto lasciare di te, resta in eterno. Minoo con la sua vita, per me, testimone di Fede. Mi viene incontro come un nuotatore stanco che abbia appena intravisto uno scoglio su cui fare una sosta durante una traversata da costa a costa. Il suo viaggio va da una sponda dell’Italia all’altra, dal bordo di un dolore all’approdo di un desiderio. Il bagaglio, una sacca di tela sui toni del marrone, comunica una sosta breve elencando nomi di capitali che forse non ha mai visitato. Un peso, ancorché non ingombrante, di cui si disfa di continuo, esattamente come le informazioni di contorno che la riguardano. Si chiama Anna, ha 74 anni e negli occhi l’energia e la risolutezza di una bambina. Si è risolta a viaggiare in treno perché per noleggiare un auto le hanno chiesto una cauzione esorbitante. Funziona così, purtroppo. Più il viaggio è arduo, più il desiderio è grande, più la vita costruisce ostacoli per misurarne il peso. Le chiedo se voglia pagare con la carta di credito, ma implora di non fargliela usare. «L’ho attivata proprio per questo viaggio» dice quasi scusandosi «perché speravo di andare a San Michele in auto, ma non so ancora bene come usarla. Dovrò cercare di capire come funziona» ordina a se stessa. Come se fosse solo un altro tassello di un puzzle di compiti a cui adempiere, un pedaggio da pagare per una ambita meta. La sua molto in alto e piena di curve. «Sto facendo questo viaggio per mia figlia e sento che quel luogo mi sta chiamando» dice con l’espressione che si fa greve e sofferta.
Sarà perché a volte la fredda esecuzione di un compito ci distacca temporaneamente dalla realtà e dalle sue sfumature, ma ascoltandola mi chiedo, al netto di emozioni, perché non viaggi con la figlia. Anzi, sono quasi tentata di dire che debba essere di sua figlia, il viaggio, ma taccio – fortunatamente -, perché la risposta arriva presto, come uno schiaffo al giudizio affrettato. Mostra una foto di Elisa, da poco nonna a soli 46 anni, che una forza diversa da quella di gravità tiene ferma su una sedia a rotelle. Anna, il cui nome rimanda alla santa protettrice delle madri, è una madre che rivendica ora, fiera e col viso ravvivato di gioia, anche il ruolo di bisnonna. «Ho prenotato un bed & breakfast a Bitonto perché sono più vicina ai miei parenti, ma non volevo essere loro di peso. Ho intenzione di ripercorrere le strade che facevo da bambina e andare ai Santi Medici. Che insieme a Padre Pio hanno regalato due miracoli alla mia famiglia». Il suo credo mi contagia e decido di aggiungere dettagli utili al suo viaggio. Del resto, un parte del mio lavoro consiste in questo: dare informazioni. Sarebbe bello sapere di averne dato, almeno una volta, per aiutare la realizzazione di un miracolo. Le indico varie soluzioni, via treno e bus, ma nel mentre della spiegazione le suona il telefono. «Eccola, mia figlia» dice staccando ogni contatto con il mondo circostante. Mi resta vicina quel che basta perché mi arrivino stralci di conversazione. Elisa ha lo stesso timbro di voce energico di sua madre. «Ho trovato due angeli qui in aeroporto che mi stanno aiutando per arrivare a San Giovanni Rotondo e a San Michele» le dice sollevata. Per il resto sembra che per Elisa sia una buona giornata perché i dolori hanno preso un giorno di permesso. «Adesso devo chiudere perché così finisco di parlare con le ragazze, ma tanto tra pochi giorni mamma torna e passa tutto». Una promessa. Come quando a un bambino si soffia su un dolore per farlo scomparire. Ieri ci ha creduto Anna, Elisa e io spero che queste parole compiano a loro volta il piccolo miracolo di farlo credere anche a voi così che diventi quel vento leggero capace di spingere Anna un po' più vicina al suo sogno realizzato. Mi piacerebbe sapere se questo terzo miracolo sia arrivato per tempo a rispettare il motto proverbiale, ma forse il vero prodigio è altro, meno voglioso di mostrarsi in superficie. È quello che rende una persona capace di credere che qualcosa di magnifico possa accadere nonostante le apparenze e caricarsi di ogni peso per realizzarlo. Che poi sia una madre di 74 anni, vitale e fresca come una ragazzina, ad attraversare l’Italia e issarsi su per il monte dell’Angelo ci dice che non c’è mai limite per desiderare. Quello che possiamo fare noi altri, ogni volta che siamo solo spettatori improvvisati, è - se ne abbiamo i mezzi – sostenere il sogno, soffiare in aria come in un palloncino che possa trascinare verso l'alto parte delle nostre credenze infiacchite. Perché a ben vedere, ventiquattro ore più tardi, credere nell'impossibile alimenta più che le speranze altrui. Anche nella mia famiglia, nella giornata di ieri, avevamo bisogno di sapere che una mamma possa tornare da lontano per compiere un miracolo. A Zia Franca, 7 ottobre 2017 Vi è mai capitato di essere invitati ad autoindirizzarvi una lettera? Qualcosa in cui indicare a voi stessi in un tempo futuro dove essere, in quali condizioni, quali obiettivi aver raggiunto.
Questa mattina, in maniera totalmente inattesa, ho ricevuto la foto di una dedica che scrivevo 15 anni fa. Nello specifico sul monologo di Baricco (Novecento) che indicavo all’epoca tra i miei libri preferiti. Tre lustri sono tanti per cambiare anche gusti di lettura. Baricco non è tra gli autori che sceglierei a occhi chiusi come farei oggi con Gabriele Romagnoli, Sara Rattaro o Lorenzo Licalzi. Tuttavia QUEL libro, richiama subito alla mente la celebre pellicola di Tornatore e resta sicuramente una piacevole lettura a cui tornare per associarvi gli immaginifici monologhi di Tim Roth. Quello che mi ha meravigliato e mi ha fatto scambiare quel semplice gesto per un regalo, sono le parole che usavo allora e in cui ci trovo la medesima aspirazione del presente. Perché certi desideri ci camminano accanto senza stancarsi anche se a volte non guardiamo abbastanza nella loro direzione. Una dedica dal passato a una me acerba, che aveva appena iniziato un percorso universitario sfidando logiche materiali e temporali e che ambiva a trasformare le proprie parole in un’ancora per qualcuno. Proprio oggi, nel giorno del mio onomastico e alla vigilia di una data per me significativa. Sì perché domani, 27 agosto, si chiude la campagna promozionale che ha portato quello che era un semplice progetto in cerca di editore, a un manoscritto oggi in coda per ricevere l’editing prima della pubblicazione il prossimo gennaio. Sarà un nuovo esordio, questa volta nel romanzo. Oggi, come allora, sono emozionata nel poter dire a me stessa che ho da conoscere i pareri dei lettori. E oggi, come allora, se ciò che ho scritto rappresenterà più che un’ancora, un appiglio per tirarsi su da una situazione difficile o semplicemente verrò scelta come lettura di svago, vorrà comunque dire che sì, avrò fatto un buon lavoro. Un grazie speciale al destinatario del libro in regalo che ha saputo conservare e attendere. Ho seguito una interessante lezione sul romanzo storico (a occhio vi dico che non penso di scriverne perché sono davvero difficili ).
A un certo punto la bravissima Emanuela Abbadessa parlando di tempi della narrazione suggeriva di porre cura minuziosa ai costumi sociali di una data epoca. Mi ha colpito la lentezza (sana, aggiungerei) del mondo di ieri. Se due si conoscevano in un contesto pubblico, per esempio, e magari un lui restava folgorato da una lei, non certo sarebbe potuto andare a trovarla il giorno dopo a casa (o mandarle una richiesta di amicizia su Facebook). Perché le persone non ricevevano visite a casa tutti i momenti. Non c'era l'usanza di prendersi il caffé con le amiche del condominio insomma. Le famiglie avevano un giorno specifico della settimana per ricevere conoscenti, amici o estranei purché ne facessero esplicita richiesta. Occorreva sempre farsi annunciare da una missiva (non certo Whatsapp). Mi è tornato in mente quello splendido film che è L'età dell'innocenza di Scorsese. Pensate alla diluizione di tempo necessario se l'incontro fosse avvenuto di martedì e la famiglia invece avesse la consuetudine di ricevere visite il lunedi. Al povero corteggiatore sarebbe toccato fare anticamera una settimana barrando i giorni e sospirando davanti al calendario. Un tempo utile per stratificare e solidificare la voglia di approfondire la conoscenza della tal donzella. Fine momento amarcord. Sbalzo al 2021 in una torrida serata di mezza estate. Considero la velocità con cui oggi siamo in grado di fare conoscenze attraverso i social. Tanta attesa non salverebbe alcuno di quei rapporti, tantomeno la contessa Olenska (che vi ricordo interpretata da una bellissima Michelle Pfeiffer). L'indisponibilità non è contemplata. Si valuta chi è connesso nel nostro stesso momento, all'ora in cui noi si è disposti a concedersi una pausa o una chiacchiera di intrattenimento. Altrimenti si scrolla il profilo social e si passa oltre. Ci si scrive a ogni ora del giorno e della notte, irrompendo nella vita altrui (di solito, fatevene una ragione, la maggior parte delle persone vi risponde dal bagno). Altro che annunci e squilli di trombe (pure Whatsapp è senza suoneria, almeno il mio). Sono finite le etichette e pure una sana discrezione. Si prova a essere originali, arrivando alla porta (social) del mondo dell'altro col proprio bagaglio (e tanta naturalezza - si spera). Pensare che neppure cinquant'anni fa mia nonna si dava del "lei" con due delle sue più care amiche. Non è una arringa contro i social. Io li amo; molto della mia vita (a metà tra il dramma e una fiction di Don Matteo) la condivido pure, ma ogni tanto sarebbe bello concedersi la profondità e il sapore di rapporti costruiti con lentezza. #comunquelacontessaOlenskahafattounabruttafinelostesso Sapete cos’è l’effetto farfalla? Se ne è parlato in decine di libri, film e naturalmente saggi scientifici. È quella teoria per cui una singola azione, un piccolo gesto, può determinare il futuro in maniera imprevedibile. Storica la frase: Il batter d'ali di una farfalla in Brasile, può provocare un tornado in Texas. Scendiamo a dimensioni più umane. Ieri, in treno per andare al lavoro, girovagavo sui social e ho visto un post di Amnesty in cui si raccontava della campagna per la liberazione di una giovanissima donna iraniana, Yasmin Aryani, di soli 24 anni, arrestata con sua madre nell’aprile 2019 dalle autorità di polizia. La sua “colpa”? Un mese prima, l’8 marzo, aveva messo in atto la sua personale rivoluzione contro l’obbligo del velo. Ha preso la metropolitana e con altre attiviste ha semplicemente regalato fiori ad altre donne, a capo scoperto. Riscrivo così ne prendo coscienza io stessa. Regalava fiori augurando a tutte le donne la libertà di scegliere. L’obbligo del velo in Iran è stato sancito nel lontanissimo 1979 da una direttiva dell’allora capo supremo Khomeini. Il punto è che la polizia (spesso coadiuvata da uomini comuni che si ergono a vigilanti) ha il potere di fermare ed esaminare i vestiti delle donne – se troppo attillati per esempio – o addirittura se per caso non lasciano sporgere dal velo troppi capelli. Sono liberi per questo di picchiarle e arrestarle. L’inizio di questa protesta pacifica (dicembre 2017) è stato a opera di Vida Movahedi che in una nota piazza di Teheran si tolse il velo appendendolo a un bastone e sventolandolo. Da allora molte donne si sono unite a lei, compreso Nasrin Sotoudeh, nota avvocatessa per i diritti umani, condannata a 33 anni di carcere e 148 frustrate. Sì, perché oltre che sottoposte a processi ingiusti (vengono accusate di incitamento alla prostituzione e pericolo per la sicurezza nazionale) ci sono le torture e la reclusioni in luoghi dove non c’è alcuna tutela per la salute. Leggevo questa storia ieri mentre andavo al lavoro, vestivo una divisa anch’io, ma che non preclude alcuna libertà, anzi. Nessuno viene a esaminare come sono vestita in tutti i contesti della mia vita e non ho obblighi verso il mondo esterno se non il rispetto di una morale condivisa. Soprattutto nessuno mi picchia sulla base di come appaio. Certo, accadono cose terribili nel mondo ogni momento perché alcune persone si sentono piccole e vedono in questi gesti di libertà una grandezza che devono tentare di sopprimere. Ma una piccolissima porzione di responsabilità è di tutti se lasciamo che sia. Per il solo fatto di sentirmi fortunata a essere nata in una parte diversa del mondo, stamattina ho firmato la petizione di Amnesty. Un gesto ancora più piccolo che porgere un fiore in una metropolitana perché l’ho fatto seduta comodamente al pc di casa dove stavo cercando di occuparmi di altre urgenze, come tutti voi che state leggendo. Credo però fermamente che una volta che una storia arriva fino a te, ne diventi responsabile. Ecco perché prima di tornare alle mie scadenze e seguire le vicende di un’altra guerriera, ho voluto scrivere queste righe. Se volete firmare le petizioni seguite i link sotto. Fate circolare questa storia. Perché queste donne sono ancora recluse e Dio solo sa che altro accade loro. Grazie. Petizioni: www.amnesty.it/appelli/yasaman/ https://www.amnesty.it/appelli/liberta-per-nasrin/ Penso che di questo 2020 ognuno ci ha fatto quello che meglio ha creduto.
Una metafora che mi piace è quella di una grossa pentola di acqua che bolle: ognuno ci avrà buttato dentro ciò che aveva; qualcuno con un gesto brusco, se la sarà scaraventata addosso imprimendo a questo periodo un ricordo triste. Eppure la maggior parte delle persone che conosco che (come me) sono state dispensate da problemi di salute hanno ricevuto dal 2020 qualcosa per cui essere grati. E per fortuna lo hanno riconosciuto. Baciati dalla fortuna? No. Semplicemente in quell'acqua che bolle ci hanno messo un pizzico di se stessi e l'intenzione di aiutare gli altri mettendo a disposizione ciò che meglio sapevano fare. Alcuni - a volte dal nulla - hanno creato un sostrato di solidarietà pazzesco. È il caso dello sceneggiatore Francesco Trento, tanto per fare un esempio, che ha messo su un gruppo di lavoro e studio dedicato a chi vuole fare della scrittura la propria attività. Se mettete un like alla pagina QUI o volete iscrivervi al gruppo QUI troverete risorse preziose (a volte gratis perfino. Se non sono gratis, una soluzione c'è, ma dedicherò un pezzo approfondito in seguito). Siate curiosi intanto, materiale ce n'è. Quindi la mia sintesi personale e opinabile è: non guardate al 2021 con aneliti di speranza (vaccini e colori) se non siete disposti a fare qualcosa per cambiare il vostro approccio al mondo. Tutto ciò di cui avete bisogno per iniziare è sotto i vostri piedi con quello che oggi sapete fare. Niente di più. Io di mio, in questo 2020, ringrazio perché ho imparato: - che il corpo è un Tempio da onorare giornalmente. Sarà l'alleato migliore negli anni a venire; - che ridere fa salire le difese immunitarie, ma se vi organizzate con qualche integratore e un'alimentazione sana è meglio; - che non esistono distanze per chi ha voglia di esserci; - che stare chiusi è un'opportunità per guardarsi dentro; - che se riesci a resistere abbastanza, nella profondità, ci trovi un campo che aspettava solo di essere messo a frutto; - che la famiglia resta il dono più prezioso; - che se hai chi fa il tifo per te è confortante, ma la strada non potrà mai farla nessuno al tuo posto; - che le conferme sono belle, ma l'inaspettato emoziona di più; - che ogni giorno, dopo che apri gli occhi, ti si chiede solo di esprimere un desiderio e fare un passo. Il resto ti arriva di conseguenza; - che dal respiro parte tutto. Se hai paura o sei agitato, respira. Se sei felice, respira. Ringrazia nelle pause. - che fintanto che siamo qui, né la gioia, né la tristezza sono eterne, ma la felicità è come un muscolo. Va allenata. #sintesi2020 #ripartenze #lafelicitàèunmuscolo Questa giornata potrebbe sintetizzarsi con una frase: di quella volta che capii che il misogino Konrad Lorenz c’aveva preso. Ora, non ho valide prove che misogino lo fosse, ma uno che attraverso l’idea dell’imprinting cercava di spiegare il perché dei comportamenti animali – e l’essere umano lo è a volte più di tutti -, è evidente che avesse un problema irrisolto con qualche donna; chissà, forse a partire dalla propria madre. Personalmente ho odiato il fondatore dell’etologia moderna a causa di una insegnante delle scuole medie che ci obbligava a vedere Quark all’ora di pranzo e a trarne dei riassunti. Motivo per il quale nutro un risentimento giustificato per tutta la famiglia Angela incluse le prossime tre generazioni. Eppure il fantasma dei Natali passati e quello di Konrad Lorenz devono essersi dati appuntamento questa mattina a casa di una delle mie amiche storiche per mostrare, a distanza di decenni, che soggiace ai comportamenti una “grammatica universale” che, indipendentemente dalle specie osservate, unisce sotto l’elgida delle relazioni sentimentali i generi maschile e femminile. Tutto è iniziato dall’entusiasmo della bimba di casa che ha dato notizia della schiusa delle uova. “Che uova?”, ho chiesto perplessa ricordando la singletudine rassegnata di Pippo, il pappagallo. Ho così appreso in un solo passaggio che il precedente Pippo ha tirato le penne prima dell’estate lasciando un vuoto emotivo che solo un nuovo amico alato avrebbe potuto colmare. È così arrivata Cocca, più timida e timorosa, ma anche più frustrata. Svolazzava nervosa e tirava beccate di carta che se fossero stati piatti di porcellana avrebbe distrutto tre corredi elisabettiani completi. Un simpatico vicino, nonché allevatore di questa razza, ha così spiegato che Cocca sentiva il bisogno di un compagno e ha regalato alla mia amica un elegante esemplare maschio, erede (solo nel nome) del compianto Pippo. (Pausa con interrogativo aristotelico. Se il vicino di casa amico degli animali sta a Cocca come l’Universo a me quando voglio trovare parcheggio, basterebbe - per vedere comparire un fidanzato decente -, trasformarsi in una psicopatica che strappa fogli e cartoni dal bidone della raccolta differenziata?). Tornando al presente e alla relazione in esame, pare tuttavia che i primi mesi di convivenza tra Cocca e Pippo non abbiano sortito emozioni e risultati. Eppure oggi i due pappagalli covavano premurosi ben tre piccole uova, di cui due schiuse nelle ore precedenti. Di più. Nel momento in cui mi sono avvicinata curiosa sbirciando l’alcova, un piccolo becco si è fatto avanti. Uscendo allo scoperto, si è infine impettito sul trespolo. Pippo, mi ha detto l’amica, indicandone i colori di un azzurro principe. Ci piace questo maschio che si impone a difendere la nidiata, ho pensato. Questione di secondi e Cocca lo raggiunge abbandonando i piccini (madre degenere, mi sono detta). Inizio a scattare foto mentre li osservo intenerita. Lei si avvicina a Pippo in cerca di tenerezze. Il mio cuore provato non ce la fa e si scioglie. Continuo a immortalare le sequenze. Solo in un secondo momento, riguardando gli scatti, analizzo che la postura iniziale di Cocca è piuttosto simile a quella di un segugio che punta la preda. “Cosa vuole questa pollastrella oltre le sbarre”, sembra chiedersi. E poi, come una qualunque femmina che sente minacciato il proprio territorio, lo marca. Pippo invece non ha proprio offerto il fianco a queste menate di donne ed è rimasto tranquillo. Gli si chiedeva di difendere il nido e la prole. L’ha fatto.
La squilibrata che gli ha piazzato davanti la fotocamera? I soliti paparazzi, si sarà detto. Quale insegnamento vogliamo trarne dunque, noi femmine della sottospecie umana? Che, se pure divorate dal desiderio, mai mostrarsi bisognose. Tantomeno cedere subito al primo maschio che bussa al vostro nido. Avete una vita sentimentale meno appagante della pappagallina Cocca? Tranquilli, anch’io. Dovevi proprio farlo notare alla vigilia di Natale, di un 2020 con una pandemia non del tutto risolta? Certo, perché sarebbe potuta andare peggio. Saremmo potuti essere Pippo. Quello prima. Single e nel paradiso di Konrad Lorenz. |
Alessandra NennaParlo e scrivo dal basso. Archivi
Gennaio 2024
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La storia c'è. Facciamone un romanzo vero Il libro c'è. Voi? 0,18181818 Il titolo che vorrei Rinunce Rapsodia, insieme per resistere. Scrivendo La settimana della "Revolution" Lettere dal passato 1001. Traguardi e nuove partenze OMG... L'ho fatto davvero Sottolineatevi... in verde Storia di una matita rosso-blu... e una gomma Matematica e profumi Il talento On LifeCome ti aggiorno il CV: a voce
La misura dell'amicizia Parco della lavanda, una prospettiva unica Tema, la fede La mamma dei miracoli Cara amica mi scrivo Elogio della lentezza Guerriere senza veli La felicità è un muscolo Pippo e il paradiso di Konrad Lorenz Svegliarsi... altrove Quando il web parla della tua vita Ri-conoscere il passato per dirgli grazie I grassi (saturi) vanno ignorati Amore: un amico speciale che si rinnova ogni tre giorni Alle radici della narrazione A scuola di tolleranza A lezione sul balcone Che un profumo vi annunci Non Ciao, ma Ti vedo dimagrita Ho perso le parole La chiave della felicità Un giorno forse torneremo qua I miei ex fidanzati (immaginari) Scrivere a Babbo Natale Avete tempo per una buona notizia? Dieci cose di me Giardini d'infanzia Gli sguardi dell'Amore Una radio sintonizzata sul futuro C'è molto di te in me Trova le parole per me La blue girl della mia infanzia Gente arcobaleno Venti non anniversari e una valigia senza peso BlogDrusilla, l'unicità dietro la maschera
Quello che non (mi) scende A message in a book La paura ha paura L'ombra della luce La filosofia in una camminata Anche una crepa... La misura della felicità Siamo endiadi a metà Rapporti di platino Di quel paese chiamato Amore De/sidera... pensarsi oltre E se foste un libro da salvare? The great gig in the sky Manuel Vilas, 100 comandamenti più uno La stanza del Mago Ezio Bosso Se avere talento pesa Ma tu, che paura hai? Quando a mancare è il respiro E voi, come vi state proteggendo? L'ulivo che vuole essere preso in braccio Un virus legale e la gioia bambina Fate virale la gentilezza Leandro e le cassette dei sogni da montare La maschera e il volto Somewhere over the rainbow... there's Judy Il saluto salutare Condividete e moltiplicatevi A Natale regalatevi un T.E.A.M. Te lo dico in un vocale Vi svelo un segreto Come un calzino spaiato La fata delle scarpette Maleficent a modo mio Profumi di nuovo Gratitudine. Un motivo al giorno Om... e torno a casa Come avere successo in amore. Forse Parole da salvare Dimagrire. 4 consigli non richiesti Giovanni e la birra annacquata Nuovi passi hanno bisogno di nuove scarpe Riflessioni allo specchio La vita come un applique fulminato Come potenziare la sfiducia negli acquisti on line HappyhandZoombombing aziona circuito di beneficienza
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