La prima positiva accoglienza a Valencia è stata scoprire che alle 13, anziché le annunciate 16, la mia stanza era pronta. Girare per una città da turista mentre tutti gli altri lavorano dona la sensazione di viaggiare su una corsia preferenziale. Una condizione che vivo ogni giorno da sei anni, da quando svolgo un lavoro part time. Sono praticamente sempre in vacanza, ma non so sempre approfittarne. Forse il mercoledì dovrei iniziare ad andare al museo piuttosto che dal dentista, ça va sans dire.
Arrivare alla Cattedrale, prima tappa imprescindibile del mio viaggio, mi è costato meno di dieci minuti di cammino, confermandomi che ogni situazione verificatasi prima di partire, compreso la più negativa, aveva un suo perché. Nel ticket d’ingresso alla Cattedrale è compresa l’audioguida in italiano (indispensabile per apprezzarla) che comprende anche la sezione del Museo a cui si accede dall’interno della Chiesa. Mi ha colpito molto il corridoio circolare dietro l’abside che ospita in alto delle campane che vengono azionate da tiranti di corda solo durante cerimonie particolari. Lungo questo corridoio la scultura che ispira più devozione è una di alabastro a grandezza naturale che rappresenta la Vergine seduta (Virgen de la silla) con in braccio Gesù Bambino. Saranno stati i colori pastello dell’abito ad attrarmi o forse la suggestione di una tradizione che vuole che le donne in gravidanza, per assicurarsi un parto fortunato, facciano nove volte il giro completo della Cattedrale, uno per ogni mese di gestazione. Le opere del Goya valgono sicuramente la visione, ma la vera bellezza è il retablo, come due enormi ante di armadio che ospitano sei raffigurazioni sacre. Pare che all’interno, proprio come un armadio, sia custodita la statua della Vergine Maria. Ho rinunciato a immergermi nei sotterranei accessibili dal museo perché l’audioguida avvisava che sarebbe potuto essere impressionante per la presenza di evidenti resti umani. Va bene viaggiare sola, va bene il fascino della scoperta, ma la fifa vince su una beata ignoranza (qualche volta). La sala del Graal offre una suggestione unica. C’è qualcosa di regale e semplice allo stesso tempo. Saranno forse i banchi di legno e quelli di pietra sul fondo, oppure il perimetro di soli mattoni grezzi. Impossibile restare indifferenti. Poi sono andata a stordirmi con i rintocchi della campana del Micalet. Alle 17 o poco più avevo ancora il resto del pomeriggio da occupare e ho optato per il classico giro sui bus turistici, tanto per prendere le misure. Esistono due differenti compagnie che propongono entrambe due percorsi, quello verso il mare e uno monumentale; suggerisco di farli sempre se si ha poco tempo e inoltre propongono uno sconto interessante (oltre l’80% per la validità 48h). Salgo sul bus che è ancora abbastanza chiaro e per sfruttare l’ampia visuale mi siedo al piano superiore, scoperto, in prima fila. Si parte che già iniziano ad accendersi le prime lucine della sera e mi dico: “Be’, poco male. Mi godrò una Valencia notturna”. Quello che non avevo considerato è che la temperatura si sarebbe lentamente abbassata così come la mia pazienza nel farmi raggiungere, nonostante le cuffie per l’audioguida, da una giunonica ed effervescente francese che sedeva nella fila di fianco e che con una lunghissima videochiamata ha portato in giro anche il suo interlocutore. Dopo un’ora e mezza, tanto dura l’itinerario se non si fanno soste lungo il percorso (facoltative e con la possibilità di risalire al successivo passaggio del bus indicato in una tabella), avevo voglia più di pastina in brodo che di tapas. Avrei perfino invitato la francese e il suo amico, ormai sapevo tutto di loro. Meno dei monumenti e della storia di Valencia. Quello che pure non sapevo è che ogni ristorante ha il suo “gancio” esterno con tanto di menu alla mano per invitarti a entrare. Vorrei dire ai ristoratori di ogni livello che serve più una buona recensione, un passaparola, che un povero ragazzo infreddolito a leggerti a memoria il menu a cui, se capita una come me, alla quinta variante di bocadillo, avrà resettato tutto e dimenticato la prima. Quindi puntate sulla qualità, magari un piatto a sorpresa che raccolga un mix di degustazione per i turisti, puntate sulla gentilezza e disponibilità dei camerieri (sempre vincente), e anche una persona (del mestiere!) che curi la comunicazione on line. Nel pomeriggio, in direzione della visita alla Cattedrale mi ero già lasciata attrarre dalla vetrina di una panetteria che esponeva una quantità di delizie dolci e salate. Vivendo con una madre che cerca ricette e sforna dolci da ogni dove, l’occhio mi è caduto su quelle poco viste e ho scelto un fartons (ve ne parlerò in seguito nel post dedicato al cibo) e tre differenti empanada (spinaci, carne e pomodoro/mozzarella) all’aspetto come piccoli panzerotti il cui impasto ricorda al gusto una brisé. Alle otto di sera invece, disperse le tracce della francese, avevo voglia di sedermi e rilassarmi, proprio come quando torno a casa soddisfatta dopo la mia lezione in palestra. Sì, ma dove? La vera urgenza era rappresentata dalla inesorabile e progressiva diminuzione dell’autonomia del cellulare perché per uscire il prima possibile dal B&b avevo dimenticato il cavetto del power bank. Così, lasciandomi ispirare dai churros e cioccolata calda che alcune persone consumavano come se fossero le cinque del pomeriggio, mi sono seduta a El Siglo (vicino Placa de la Reina). Accanto a me tre ragazze italiane che hanno ordinato quasi tutta la scelta di aperitivi disponibili annaffiandoli di sangria. Naturalmente ne hanno abbandonato la metà. Mi è servito per vedermi da fuori, quando anche io con le amiche ci facciamo prendere più dalla fame della vista che da quella dello stomaco. A Benny, il cameriere rossiccio che se non fosse stato emiliano gli avrei attribuito una patria scozzese o irlandese, ho ordinato tra gli altri anche un cavetto USB per il power bank. È arrivato però prima il vino, un rosso intenso e fruttato davvero piacevole (Ramon Bilbao, Cantine Rioja) che sono rimasta a sorseggiare riuscendo perfino a escludere il cicaleggio delle mie tre vivaci e rumorose vicine. Ora però, diciamolo: ha vinto l’atmosfera, il disegno realizzato a muro con le ceramiche che adornava la facciata esterna e la cordiale disponibilità di Benny, perché il Pincho de Tortilla altro non erano che due tranci di frittata ripieni di patate a tocchetti servite con una ciotolina di salsa al pomodoro vagamente insipida che ho provato a unire a qualunque cosa, compresi i peperoncini verdi in padella a cui nessuno aveva pensato di togliere i semi. Accade quando te li servono al ristorante. Li ho perdonati. Per la pazienza di Benny, perché in vacanza lasci correre e perché mai avrei creduto di trovarmi una sera di novembre seduta a cena all’aperto con una temperatura semi-primaverile a dovermi guardare intorno e soprattutto dentro a causa del cellulare scarico scoprendomi serena come se fossi seduta, come sempre, nella cucina di casa.
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Quando finalmente ho sistemato l’organizzazione basica del viaggio, ovvero dove dormire e cosa vedere (ma amo contraddirmi almeno una volta al giorno), mi sono ritrovata a considerare che era la seconda volta che il mio lavoro, quello indiretto della scrittura (anche quando non ha un committente e un compenso è un lavoro, credetemi) mi portava a viaggiare. La prima volta è stato per Colonia nel 2011. Perché facevo parte di una redazione di un quotidiano locale e Germanwings inaugurava la rotta da Bari e perché qualcun altro aveva rinunciato. Nel posto giusto al momento giusto. Chissà dove mi porterà la terza. Sì perché un volo pindarico mi fa pensare al libro de L’Alchimista in cui uno dei personaggi sostiene che tutto ciò che si verifica una volta può anche non verificarsi più, ma ciò che accade due volte, accadrà anche una terza. Quasi mio malgrado mi sono trovata a organizzare una partenza che, se avessi potuto scegliere, non avrei fatto o quantomeno non nei termini in cui tutto si è verificato. Mi dico che mi piacerebbe viaggiare per scrivere. E viceversa. È una materia, quella del viaggio e della scrittura, che riesco a maneggiare. Tuttavia volevo fosse solo il viaggio inaugurale di una solitudine peregrina e questo è stato. Salvo scoprire che così poco affollato non è mai. Lo scopri mentre ci sei perché c'è sempre qualcuno pronto a regalarti parti di sé o una storia. Accade perché ho spesso l’espressione interrogativa del “dai, dimmi di più” e perché non ho superato il desiderio insoddisfatto da bambina di fare la psicologa. Cosa ho chiesto in sintesi a Valencia? Essenzialmente due cose: che mi insegnasse a cucinare la vera paella e che mi restituisse qualcosa di equiparabile alla scoperta del Graal, che già tuttavia custodisce. Quando ho cercato di stilare una scaletta tra i punti imprescindibili del soggiorno, ho pertanto inserito fin dal primo giorno la visita alla Cattedrale e al suo campanile, El Micalet. Quest’ultimo rispondeva inoltre alla voglia di fare qualcosa di particolare, ovvero issarsi per 207 scalini (a chiocciola) che non spaventano nemmeno le famiglie con bambini al seguito. Ho cercato di dissuaderne una con due bambini che a malapena camminavano senza riuscirvi. Anche loro, chissà quando, avranno raggiunto al fine uno dei punti panoramici più completi della città. Avrà giocato molto essere stata la prima cosa che ho visto e anche lo stordimento della campana che ha preso a suonare proprio quando ero appena arrivata in cima, ma la vista compensa la fatica. Pare inoltre che la campana sia la quarta più grande di Spagna con le sue oltre 7 tonnellate di peso. Insomma se suona, si sente. E ve ne accorgerete. Mi piace partire dall'alto in un viaggio. Resta uno dei punti di osservazione preferiti, insieme ai finibus terre. Tuttavia, da buona forchetta quale mi riconosco, non volevo neanche rinunciare al workshop di cucina che mi avvicinasse alla cultura gastronomica della città perché, l’opportunità di incontrare chi in un posto ci abita e ne assorbe i profumi e il gusto è appetibile quanto un assaggio di paella valenciana. Così, chiedendo infinitamente scusa allo spirito del dott. Nozzy che ormai aleggia come un quarto angelo custode dei grassi saturi nella mia vita, mi sono immersa nel solito circuito Airnb alla ricerca di Experience. Il sito infatti da un po’ di tempo ha integrato all’offerta di alloggi attività complementari le più disparate: dalle visite guidate in bicicletta, scooter o altri insoliti mezzi di trasporto, alle degustazioni di prodotti tipici, cene e aperitivi, lezioni di yoga o di lingua. L’offerta varierà a seconda del luogo, ma essendo il circuito internazionale vi suggerisco di sbirciare sempre ciò che viene proposto. Ho imparato che se ti lasci portare, qualcosa ripagherà sempre la tua fiducia. Evidentemente il dott. Nozzy aveva in serbo altre degustazioni e ha vanificato le mie ricerche alle quali avevo comunque affiancato un itinerario alternativo: una visita nel centro storico con l’autrice di una guida di viaggio che si prometteva diversa. Cosa me l’ha fatta scegliere è stata la promessa che nel prezzo del tour era compreso appunto, il libro. Non potevo immaginare che il mio Graal, in quel di Valencia, sarebbe stata Elena… in Bloom. Sì perché bloom significa fioritura, e anche se l’autrice l’ha attribuita alla sua pubblicazione, io ho assistito a una involontaria fioritura di intraprendenza, capacità e talento. Penso che il tour di un’ora e mezza per il barrio del Carmen sia stato uno dei più impegnativi per lei perché oltre raccontare il rapporto coinvolgente con la città che la ospita, ha dovuto rispondere del come le sue origini russe l’avevano portata fin là, in una nuvolosa mattina spagnola, a parlare in italiano come se fosse una lingua madre (assieme al castigliano e valenciano che pure pratica quotidianamente) con una chiacchierona e affamata turista affamata di storie. La sua proposta di tour la trovate a questo link. Per sapere cosa ho scoperto con lei, continuate a leggere questa sezione. Work in progress. Con Elena Paolino, autrice del travel book "Valencia in Bloom" Avrò attirato l’attenzione con questo titolo? Nessun racconto hard, mi spiace. Con la prima volta mi riferisco al viaggiare sola. Perché sì, non era ancora capitato che viaggiassi in totale solitudine, senza supporto di amici e conoscenti a condividere un'abbuffata davanti un doppio cheeseburger che a casa non ti concederesti così a cuor leggero.
Una circostanza dunque in cui inizialmente mi sono trovata mio malgrado mesi fa, precisamente in agosto, quando al PC provavo, dopo precedenti fallimentari tentativi, a convertire il coupon che avevo ricevuto in regalo. Il motivo di contorno alla rinuncia a chiedere compagnia è perché, con tanto preavviso, da noi è legittimo preannunciare solo un matrimonio. Programmare un viaggio che non sia coincidente con una festività o un ponte in cui ci si sposta in massa, è prerogativa solo di chi ha un lavoro part-time, in una vita part time (perché di fatto non riesco a dipendere nemmeno dalle mie decisioni del giorno prima). Mi sono ritrovata così a valutare, non senza un brivido d'euforia, che mi trovavo davanti a una prima volta. Ne viviamo di continuo, ma non ci rendiamo conto perché pensiamo che sia prerogativa dei bambini e non ci sia più nulla di cui stupirsi di pura meraviglia. Penso sempre di farne una lista, di prime volte ancora da vivere almeno una volta l'anno, ma vince la pigrizia e vado avanti per improvvisazione. Dunque quel pomeriggio di agosto interrogavo il computer abbastanza disincantata. No, proprio convinta che il maiunagioia avrebbe dato soddisfazione. Invece... Evidentemente se la stava spassando in qualche alcolico aperitivo alternativo e l'Universo ne ha approfittato per riequilibrare altre vicende non proprio felici confermandomi che un regalo in quanto tale, non va mai sprecato. Quello che ancora non sospettavo è che avrei persino avuto la scelta tra Siviglia o Valencia. Breve, e dai cugini spagnoli, mi è sembrato un compromesso realizzabile. Ho fatto qualche rapida ricerca e Valencia si è aggiudicata la vittoria. A pesare sulla decisione ha influito leggere che la Cattedrale della città custodisce quello che viene venerato come il sacro Graal. Andare simbolicamente alla ricerca del Graal mi è sembrato improvvisamente un motivo colmo di fascino per un viaggio che nasceva in circostante impreviste e perfino non cercate. Una volta assicurata il volo, per quella dose di insicurezza e voglia di controllo da cui mi faccio illogicamente trasportare nei momenti più inopportuni, ho cercato l'alloggio. Ho trovato anche quello, (sul circuito Airnb), a un costo abbastanza concorrenziale per il periodo e nonostante fosse appena fuori dalla Ciudad Vella (centro storico), mi sembrava tutto così ben orchestrato che non ci ho badato più. A meno di dieci giorni dal volo l'euforia provata mentre prenotavo ha ceduto il passo a un friccichìo misto di timore, per non avere la minima idea di come sfruttare al massimo quella tre giorni, e di attesa di questa me alle prese con una nuova ricercata solitudine (un po' ciò che accade quelle rare volte che mi costringo a vedere un horror: curiosa e terrorizzata allo stesso tempo). In mezzo a questo crocevia di pensieri e surF-fering sul web a caccia di bignami di viaggio per abbuffarsi di visite nel più breve tempo possibile, ecco che Araceli (che significa Porta del Paradiso), proprietaria dell'appartamento che avrebbe dovuto ospitarmi, mi comunica via messaggio che di fianco al suo inizieranno dei lavori di ristrutturazione e che se ritengo possa essere un problema, è disposta a restituirmi l'importo pagato. Per fortuna, avendo nuove urgenze, non ho indagato in quel momento quello che so oggi, ovvero che qualcuno con un nome abbastanza rappresentativo mi stava dicendo che mi negava l'ingresso del Paradiso valenciano che mi ero scelta. In quel sabato sera, a meno di 4 giorni dalla partenza, apprendere la notizia di per sé, è stato peggio che se mi avessero detto che un viaggio nel tempo mi aveva portata indietro al giorno prima del mio matrimonio. Nel mentre di una quotidianità non sempre così placida e scorrevole come il letto del Colorado, rimettersi al computer per cercare di conquistare un nuovo posto in cui dormire, non è stato facile. Tanto più che non ero certa della felice conclusione del rimborso. Un volo ricevuto in regalo rischiava di trasformarsi in una spesa maggiore che se fossi partita all'ultimo momento. Ecco però che sul circuito Booking, all'una di notte, trovo un B&B a 150 metri dalla metropolitana (fermata Colon, praticamente nel centro storico) il cui confort principale era proprio la posizione. La prenotazione senza costi aggiuntivi sarebbe scaduta dopo 24 ore. Solo ventiquattro ore di tempo per avere conferma (da una serie di operazioni che avrebbe dovuto compiere la proprietaria dell'appartamento non più disponibile) di poter soggiornare in quello che ormai aveva scalato la classifica delle preferenze tra tutti gli alloggi a Valencia (cercate, se vi interessa, Kasa Katia Eco Guest House ). Mi sono arrovellata su questi pensieri per un po', ma sapete che ho fatto il mattino dopo? Ho smesso di preoccuparmi. Ho deciso che comunque sarebbe andata, il soggiorno nel B&B sostitutivo avrebbe di molto migliorato il viaggio facilitando gli spostamenti. Mi sarebbe costato il doppio. Fa nulla. Un motivo a tutti questi contrattempi c'era e io lo avrei saputo. Cosa è accaduto? Che Araceli ha acconsentito (secondo prassi) alla mia richiesta di cancellazione (lasciando socchiusa la porta del Paradiso) e il lunedi ho ricevuto conferma del rimborso totale dall'assistenza Airnb. Non solo. In considerazione della difficoltà in cui sono stata messa a pochi giorni dalla partenza, una gentilissima signora Elsa mi ha esteso la scadenza a un anno per l'utilizzo di un coupon regalo di 25 euro. Ecco che nel mio Graal si era già depositata la prima importante lezione: non programmate troppo in anticipo. La vita riserva il posto migliore a volte solo all'ultimo momento. |
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