Ogni volta mi riprometto di non leggere un libro di Fabio Volo. Ho pensato che dopo i primi (che pure conservo perché all’epoca mi piacquero), avesse esaurito le cose da dire. Un po’ per la stessa ragione per cui non lo ascolto più spesso in radio. In verità quando torno ad ascoltarlo ne ricevo sempre qualche chicca, che sia una riflessione o un brano musicale che non conoscevo. Poi un’amica ha comprato il suo ultimo libro e in un pomeriggio sfaccendato me l’ha passato per occupare il tempo di un’attesa. Finisce che qualcosa ci arrivi tra le mani senza averla cercata. E, se si ha la pazienza di aspettare, potrebbe rivelare un messaggio che ci riguarda. O che vale la pena trasmettere. Vale sempre e non solo per i libri. Veniamo a cosa ne penso io. Questo nuovo romanzo è un lungo e nostalgico commiato da suo padre, mancato diversi anni fa. Una volta in una intervista ha dichiarato che era in pace con lui, che si erano detti tutto, ma credo avesse bisogno di guardare dove non gli era ancora capitato: nei silenzi. Spesso anche lì ci sono messaggi. Nei non detti, l’amore si muove con più facilità perché le parole invece incastrano, giocano con un tiro alla fune con i significati rigidi che ognuno gli attribuisce. C’è la narrazione della difficoltà delle relazioni e quella più grande di entrare nel modello che ci siamo costruiti di noi stessi, una specie di “tuta del supereroe” che non si concede di fermarsi a mangiare un gelato (come Secco, l’amico di ZeroCalcare – che mi sorge ora il sospetto sia il saggio nella storia di Strappare lungo i bordi) o farsi fare un massaggio. Deviare dalla strada principale insomma, ogni tanto ci permette di guardare al resto di quella da fare con più motivazione, mettendo via il martelletto del giudice che usiamo perentori con gli altri, quando pensiamo non ci trattano come ci aspettiamo. Ok, ogni tanto come gli accade in radio, si lascia andare a qualche pistolotto dei suoi, ma quello dipende dal desiderio di vedere intorno gente che riprende a star bene, di pensare che “la medicina” che ha fatto bene a me, farà bene pure a quello, visto che all’apparenza ha lo stesso problema mio. 𝘓𝘦 𝘱𝘦𝘳𝘴𝘰𝘯𝘦 𝘴𝘰 𝘤𝘰𝘮𝘱𝘭𝘦𝘴𝘴𝘦: 𝘩𝘢𝘯𝘯𝘰 𝘭𝘢𝘵𝘪 𝘤𝘩𝘦 𝘯𝘰𝘯 𝘤𝘰𝘯𝘰𝘴𝘤𝘪, 𝘩𝘢𝘯𝘯𝘰 𝘤𝘰𝘮𝘱𝘰𝘳𝘵𝘢𝘮𝘦𝘯𝘵𝘪 𝘮𝘰𝘴𝘴𝘪 𝘥𝘢 𝘳𝘢𝘨𝘪𝘰𝘯𝘪 𝘪𝘯𝘵𝘪𝘮𝘦 𝘦 𝘪𝘯𝘴𝘰𝘯𝘥𝘢𝘣𝘪𝘭𝘪 𝘥𝘢𝘭𝘭’𝘦𝘴𝘵𝘦𝘳𝘯𝘰. 𝘕𝘰𝘪 𝘷𝘦𝘥𝘪𝘢𝘮𝘰 𝘴𝘰𝘭𝘰 𝘶𝘯 𝘱𝘦𝘻𝘻𝘦𝘵𝘵𝘰 𝘱𝘪𝘤𝘤𝘰𝘭𝘪𝘴𝘴𝘪𝘮𝘰 𝘥𝘪 𝘲𝘶𝘦𝘭𝘭𝘰 𝘤𝘩𝘦 𝘤’𝘩𝘢𝘯𝘯𝘰 𝘥𝘦𝘯𝘵𝘳𝘰 𝘦 𝘧𝘶𝘰𝘳𝘪. 𝘌 𝘥𝘢 𝘴𝘰𝘭𝘪 𝘯𝘰𝘯 𝘴𝘱𝘰𝘴𝘵𝘪𝘢𝘮𝘰 𝘲𝘶𝘢𝘴𝘪 𝘯𝘪𝘦𝘯𝘵𝘦” A Fabié, io ti ho letto quasi d’un fiato. (Niente, m’è partito nel pensiero l’accento romano citanto ancora ZeroCalcare). Il tuo libro lo consiglio, ma se c’avete un’amica che ve lo presta, è meglio. All’amica – per par condicio - fate leggere quello che vi comprate voi. Viva la lettura. Sempre.
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Vogliamo parlare della paura? Perché mai, direte. La paura è tra quei concetti da ignorare, come la morte. A evocarla è facile che si consideri invitata e si presenti. Eppure la paura è una emozione che siamo in grado di capire tutti perché fa parte di un bagaglio imprescindibile. Appartiene al nostro sistema genetico e biologico da millenni perché, appunto per millenni, ha garantito la sopravvivenza della specie umana trasferendosi come un software insieme a decine di altre conoscenze permettendoci di diventare gli essere evoluti che siamo (Vabbè, non tutti. Una buona parte).
Tornando al focus: cosa permette alla paura di avere la meglio sul nostro controllo? In prossimità di un ipotetico (occhio a questa parola) pericolo che rimanda a una situazione già vissuta, attiva in un’area del cervello la risposta comportamentale registrata in quel momento del passato. In soldoni ricrea le stesse condizioni per qualcosa che non sta accadendo né è certo che accada. Dico di più: spesso non esiste alcun pericolo di sopravvivenza. Ma il cervello – che ama i melodrammi - è andato avanti a costruirsi le sue spaventose immagini di squilibri cosmici arricchendole oltremodo di tragedie e armageddon e noi ci blocchiamo. Gli animali lo fanno continuamente. Quante volpi (il che fa pensare che non siano così furbe) sono state investite perché hanno pensato bene di immobilizzarsi nel momento in cui sono state sorprese dai fari di un’auto? Decisamente più scaltre allora le libellule che simulano di morire per dissuadere corteggiatori fastidiosi. Per dire, la natura. La paura negli esseri umani invece poteva avere una propria giustificazione 200 milioni di anni fa nel tempo in cui fuori dalla caverna passeggiavano i tirannosauri in attesa di invitarci all’apericena. Oggi, salvo poche eccezioni, il vero pericolo è restare fermi: far stagnare idee, convinzioni, persone e relazioni. Perfino abusare di troppa immobilità nello stesso luogo come una casa (posto sicuro per antonomasia) non è salutare. Ora trasferiamo questo concetto a un aspetto della nostra vita bloccato per “paura”. Che sia il lavoro, una passione, un rapporto d'amore o amicizia in cui non muoviamo quel passo oltre pur sapendo che siamo in un vicolo cieco e che presto, magari non domani, le pareti e il soffitto del mondo che state abitando inizieranno a comprimersi. Così lentamente che potreste non accorgervene mai. C’è una sola cosa che blocca il meccanismo e butta giù le pareti della stanza palcoscenico che avete costruito ed è l’azione. La paura ha paura. Scappa e si nasconde nel buio, dietro le fattezze di un mostro che chiede riverenze per continuare a tenervi fermi. Il movimento invece vi sposta da dove siete e dilegua le paure perché fa sentire in grado di combatterle e realizzare qualsiasi cosa se si vuole. Proprio come la protagonista de Il mago di Oz, Dorothy, che a un certo punto scosta una tenda e scopre che il grande e potente Oz è un uomo normalissimo che si era perso volando con una mongolfiera. Di più. Dorothy ha attraversato mille peripezie solo per scoprire che le scarpette rosse che ha indossato fin dall’inizio sono dotate del potere di realizzare ogni desiderio. Esattamente come ciascuno di noi se iniziamo a muoverci nella loro direzione. Appena qualche giorno fa avevo incrociato il post dedicato alla scomparsa di Ezio Bosso. Mi ha fatto considerare che tra le arti, la musica sembra contenere un codice, un messaggio che senza fatica può essere cifrato anche da un orecchio poco incline o distratto. Nella musica c'è - volendo farsi più attenti - anche la traccia di chi siamo e da dove veniamo. Qualcuno sostiene che l'Universo si esprima solo attraverso la musica e la matematica. Insomma, sono spacciata. ^_^ Veniamo a oggi. Al maestro Battiato devo un grazie per i libri della casa editrice L'ottava da lui fondata. Eppure non avrei mai acquistato "Vedute sul mondo reale" di Gurdjieff se non avessi ascoltato per un certo tempo, tutti i giorni, Il volo del mattino su Radio Deejay. Questo consente di dire almeno una cosa: che anche un ex panettiere ti può condurre verso conoscenze maestose. Basta saper cogliere dietro le apparenze. Siate sempre aperti all'ascolto. Ecco perché, sempre grazie a Fabio Volo che l'ha passata in radio, stamattina se volete pregare (per chi ci crede o per un saluto a Franco Battiato), scegliete questa: Difendimi dalle forze contrarie La notte, nel sonno, quando non sono cosciente Quando il mio percorso si fa incerto E non abbandonarmi mai Non mi abbandonare mai Riportami nelle zone più alte In uno dei tuoi regni di quiete E' tempo di lasciare questo ciclo di vite E non abbandonarmi mai Non mi abbandonare mai Perché le gioie del più profondo affetto O dei più lievi aneliti del cuore Sono solo l'ombra della luce Ricordami come sono infelice Lontano dalle tue leggi Come non sprecare il tempo che mi rimane E non abbandonarmi mai Non mi abbandonare mai Perché la pace che ho sentito in certi monasteri O la vibrante intesa di tutti i sensi in festa Sono solo l'ombra della luce (Franco Battiato - L'ombra della luce) Oggi faceva freddo, forse la giornata più fredda e ventilata di questo inverno. Mi ero rintanata sotto la coperta, sul divano. Eppure alle 16.15 qualcosa, una volontà nuova, effervescente, mi ha guidata fuori. Come se avessi imposto al mio cervello di muoversi in una direzione precisa, qualunque cosa stesse accadendo. E lo ha fatto. Questo dimostra che possiamo parlare al nostro cervello (anzi, lo facciamo spessissimo e in termini solitamente depotenzianti) e lui agirà per conto nostro.
Quindi mi sono bardata manco dovessi approdare a Capo Nord e sono uscita collegandomi a un link da cui parlavano i tipi di Tlon, Andrea e Maura, per una sessione di Filosofia di gruppo. Il presupposto era però camminare. Per parchi, spiagge, luoghi che Andrea aveva indicato su una mappa virtuale. In alternativa si poteva aggiungere i propri. Se avessi dovuto raggiungere il parco indicato, avrei dovuto prendere l'auto; ho preferito invece girovagare per il mio quartiere. Un'esperienza meravigliosa vissuta con centinaia di altre persone che pubblicavano foto dai loro posti, con Andrea e Maura che parlavano di percezione e leggerezza, la stessa con cui dovremmo vivere, citando decine di autori. Poi è accaduta anche una cosa strepitosa: Andrea ha chiesto a tutti di rallentare l'andatura fino a fermarsi. Un passo lento e poi l'immobilità. Per avere il tempo di guardarsi intorno e dentro. Ero arrivata quasi in cima su per la lunga scalinata di una chiesa. Sono rimasta di spalle alla strada. Chissà se qualcuno, di passaggio, si è chiesto chi fosse la persona immobile (e folle, in considerazione del freddo) su quella ampia scalinata. Il merito dei due Tlon, per me che non ho studiato Filosofia, è di portarla a braccetto del quotidiano. Camminando ho riflettuto per esempio, sull'importanza della mia tazza da colazione. Perché uso quella e non un'altra. E quel perché si lega ad altri aspetti non meno profondi della mia vita. Quindi ora metto nel carrello dei miei prossimi acquisti l'ennesimo libro e a voi lascio queste meravigliose parole che abbiamo infine recitato tutti assieme, ciascuno dal suo angolo in cammino. Credo che il mondo abbia bisogno di più filosofi del quotidiano, o "pazzi" in cammino. In quest’ora della sera da questo punto del mondo. Ringraziare desidero il divino per la diversità delle creature che compongono questo singolare universo, per la ragione, che non cesserà di sognare un qualche disegno del labirinto e l’uccello leggero che vola oltre, più in alto, più su. Ringraziare desidero per l’amore, che ci fa vedere gli altri come li vede la divinità, per il pane e il sale, per il mistero della rosa che prodiga colore e non lo vede. Ringraziare desidero per l’arte dell’amicizia, per l’ultima giornata di Socrate, per le parole che in un crepuscolo furono dette da una croce all’altra, per i fiumi segreti e immemorabili che convergono in noi, per il mare, che è un deserto risplendente e una cifra di cose che non sappiamo per il prisma di cristallo e il peso di ottone, per le strisce della tigre, per l’odore medicinale degli eucaliptus, e la speranza, la fiducia, la lavanda. Ringraziare desidero per il linguaggio, che può simulare la sapienza, per l’oblio, che annulla o modifica il passato, per la consuetudine, che ci ripete e ci conferma come uno specchio, per il mattino, che ci procura l’illusione di un inizio, per la notte, le sue tenebre e la sua astronomia, per il coraggio e la felicità degli altri, per la patria, sentita nei gelsomini per lo splendore del fuoco che nessun umano può guardare senza uno stupore antico e per il mare che è il più dolce fra tutti gli dei. Ringraziare desidero perché sono tornate le lucciole, le nuvole disegnano, le albe spargono brillanti nei prati, e per noi per quando siamo ardenti e leggeri per quando siamo allegri e grati. Io ringraziare desidero per la bellezza delle parole, natura astratta di dio per la lettura e la scrittura, che ci fanno sfiorare noi stessi e gli altri per la quiete della casa, per i bambini che sono nostre divinità domestiche per l’anima, perché consola il mio girovagare errante, per il respiro che è un bene immenso, per il fatto di avere una sorella. Io ringraziare desidero per tutti quelli che sono piccoli liberi e limpidi per le facce del mondo che sono varie per quando la notte si dorme abbracciati per quando siamo attenti e innamorati, fragili e confusi, cercatori indecisi. Ringrazio dunque per i nostri maestri immensi per tutti i baci d’amore, e per l’amore che ci rende impavidi. Per i nostri morti che fanno della morte un luogo abitato, e per i nostri vivi, che rendono la vita uno specchio fatato. Per i figli, col futuro negli occhi, perchè su questa terra esiste la musica, per la mano destra e la mano sinistra, e il loro intimo accordo per i gatti per i cani esseri fraterni carichi di mistero, per il silenzio che è la lezione più grande per il sole, nostro antenato. Ringraziare desidero per Whitman, Presti e Francesco d’Assisi, che scrissero già questa poesia, per il fatto che questa poesia è inesauribile e si confonde con la somma delle creature e non arriverà mai all’ultimo verso e cambia secondo gli uomini. Ringraziare desidero per i minuti che precedono il sonno, per il sonno e la morte, quei due tesori occulti, per gli intimi doni che non elenco, per la gran potenza d’antico amor per amor che muove il sole e l’altre stelle e muove tutto, in noi…. Da Mariangela Gualtieri, Le giovani parole (Einaudi 2015) Io non sono che un punto energetico collassato nella realtà, una possibilità, un soffio di un istante nell’intera vita dell’Universo. Ma da questo punto ho un visione unica sul mondo la cui bellezza è proprio nell’originalità, nell’impossibilità per chiunque altro di vedere ciò che io vedo nell'essere qui. Vi dico di più: questa bellezza appartiene anche a voi: siete indispensabili come in un coro in cui ogni elemento contribuisce alla melodia finale. Dovete solo avere voglia di scoprire la vostra unicità e portarla a conoscenza degli altri. Cosa potrei dire circa questo strano momento che non sia stato già detto? Ho avuto i vostri stessi timori, ho cercato fino all’ultimo di credere che sulla bolla in cui vivo le nuove disposizioni del governo sarebbero semplicemente rimbalzate. Invece il lunedì più lunedì degli altri è arrivato. Ho cercato di adeguare i ritmi quotidiani alla fornitura extra di tempo che mi è stata nuovamente concessa. Ho riorganizzato le giornate cercando di trarne il massimo beneficio. In palestra per esempio, solitamente ci vado alle 18 perché sono iscritta a dei corsi specifici, ma so che il mio metabolismo pigro se viene bacchettato al mattino prima della colazione, reagisce con più vigore. Era il momento di girare a testa in giù come una clessidra la pratica sportiva. Ho perfino ringraziato di questa opportunità perché adesso brucio più calorie e ho una scorta di tempo extra. Dico di più: sarebbe preferibile per tutti che una qualsiasi attività di fitness fosse svolta entro le 10 del mattino. Poi però, fitness a parte, la mia vita è fatta di molto altro. E come tutti ho visto salire il timore che un progetto di lavoro a cui tengo non riceva la giusta attenzione; a questo timore si è aggiunta l’ansia per una collaborazione precaria come i dpcm di Conte e infine, come se non bastasse, ha fatto capolino la totale assenza di visione su ciò che potrebbe accadere se smettessi di fare ciò che faccio e iniziassi a mettere sul fuoco (lento, ma costante) uno dei miei desideri recenti. Pensieri che si sono affollati poco più sopra della mia testa come una nube nera che piano piano, scendendo, ha reso grigia anche me portando malumore diffuso e poca voglia di interagire con chi invece, nonostante me, provava a esserci. È a questo punto che hanno iniziato a manifestarsi tutti assieme fatti che solo dopo, in un flash di pochi attimi, ho capito essere perle. Solo mettendole tutte insieme avrei potuto comporre una collana preziosa. Quale la considero. Perché la verità è che la magia dell’esistere di ogni cosa, in perfetto equilibrio con un’altra, accade di continuo. Quello che fa la differenza è l’accorgersi. Accorgersi è una parola bellissima. Ne dà un’ampia spiegazione Igor Sibaldi nel libro “Vocabolario, le parole dei mondi più grandi”. Lui sostiene che accorgersi è meglio di credere e capire perché credere implica fidarsi di ciò che altri dicono. Accorgersi è percepire in prima persona. In greco si traduce metanoein, che significa letteralmente fare giungere la tua mente più in là. Fino a dieci anni fa non conoscevo nulla di tutto ciò che scrivo qui ora. Sì certo, credevo nell’esistenza di un Dio (che da piccola confondevo con la figura di Cristo) a cui dobbiamo la nostra esistenza, di un fato che ci rende forse anche prigionieri di alcuni accadimenti e ci obbliga a girare su noi stessi, come criceti sulla ruota. Quando invece ho voluto “conoscere”, il processo è stato simile a un grande libro che piano si apre e si svela. Dipende solo da noi se vogliamo essere criceti nella gabbia per tutta la vita, ma state pur certi che qualcosa prima o poi vi chiamerà fuori facendo intravedere la possibilità di panorami che non avreste neanche osato immaginare. Tutto è iniziato perché dieci anni fa ho iniziato a perdere i confini del mio mondo, simboliche pareti a cui mi appoggiavo per procedere nella vita. Ho avuto bisogno di sapere di più della dimensione sottile, quella che riguarda il mondo delle cose che so di non sapere. Questo interrogativo mi ha fatto peregrinare in molti luoghi e conoscere persone differenti, ma il senso profondo del messaggio che ciascuno portava era sempre lo stesso: l’Amore, il cui piccolo barlume sperimentiamo nei rapporti che viviamo lungo l’arco della vita, è ciò che prepara e guida i nostri passi, è quello attraverso cui filtriamo la conoscenza del mondo e di noi stessi. Nessun altro. Ho compreso che quando le quotidiane certezze sembrano vacillare, è lì che si apre la breccia per il nuovo. Nei giorni scorsi, in un momento di particolare buio (perché è allora che l’attenzione illumina cose essenziali, fateci caso) sono inciampata in una frase di Rudolf Steiner, scienziato e fondatore dell’antroposofia. È un messaggio che a me stava dando indicazioni specifiche. “Non fare che i tuoi pensieri distraggono l’ordine di ciò che è”. Non significa che posso sedermi e aspettare che la tempesta passi, perché il futuro dipende anche dalle azioni che faccio o sono disposta a fare oggi, giorno dopo giorno. Significa che devo accogliere ciò che si presenta con fiducia incondizionata che la pioggia odierna innaffi e faccia crescere il seme che diverrà la pianta di domani. Quasi in contemporanea arriva la notifica che Elisa, del gruppo “Il ricordo geometrico” ha pubblicato un video. Lì spiega concitata che la realtà esterna attuale è una resistenza che nulla implica rispetto al percorso di crescita individuale. Panta rei, tutto scorre, recita un celebre aforisma greco. Ciò che nel mondo inizia, nel mondo troverà una sua fine. In quale modo può impattare a lungo su di noi che invece siamo eterni? In un modo temporaneo senz’altro. Sta a noi definire quanto peso vogliamo che questa “resistenza” abbia perché siamo sempre noi a plasmare la realtà che viviamo. La mia preziosa collana è pronta. Del resto, anche la crepa nella roccia in un tempo lontanissimo sarà stata considerata solo un incidente dovuto ad avverse condizioni climatiche o geologiche, una brutta crepa insignificante. Eppure un ordine superiore, lo stesso che dà forma anche alle nostre, di crepe, ha fatto sì che il tempo la rendesse un’opera d’arte. sopra, Antelope Canyon, Arizona Ci ho messo tanto a leggere questo libro. Perché intanto accade che io ne legga più contemporaneamente, ma la verità è che la storia sembrava non decollare. Oppure ero io a non essere in sintonia con essa. Forse perché avevo appena chiuso Vangelo Yankee (qui ci trovate qualche notizia) e per me non c’è pari se un libro ti porta parecchio in alto, ti fa uscire dalle rotte letterarie consuete e ti fa pure piangere (in questo non sono attendibile perché a me basta poco ultimamente. Saranno gli ormoni). Tuttavia non ho mollato. Per il titolo, per la copertina che sembra anticipare l'ingresso in una favola e perché la persona da cui l'ho comprato (sì, è un second hand) mi ha assicurato che mi sarebbe piaciuto. Non è una persona che abita stabilmente la mia vita, né conosce i miei gusti in fatto di letture, ma la comunità dei lettori è frequentata da gente strana; ci si riconosce a volte per una citazione, per un titolo e si creano connessioni che non hanno nulla a che spartire con la realtà e i suoi ritmi ingessati tutt’altro che poetici. So che un libro ha fatto breccia quando, una volta terminato, mi viene istintivo tornare all’inizio, per rileggere qualcosa che, per inabissarmi velocemente, ho perso. Quello che mi è piaciuto subito è stata l’ambientazione nel mondo dell’editoria. Un traghetto viaggia verso un’isola dove esiste un'unica libreria. A bordo, una donna che lavora come agente di una casa editrice, ha il compito di presentare la cedola stagionale al libraio. Nelle prime pagine in verità, lei ha tempo di sistemarsi lo smalto e fare la conta dei fallimenti sentimentali, l’ultimo dei quali gli si presenta al telefono non perdendo occasione di essere ancora sgradevole. Ho continuato a leggere perché mi auguravo che la donna, Amelia, gli riservasse una rispostaccia e perché in lei ci stavo proiettando il mio alter ego letterario. Tutti assieme quindi siamo arrivati all’ingresso di Island Books la cui insegna dice: Nessun uomo è un’isola, ogni libro è un mondo. Non solo mi è piaciuto parecchio, ma all’interno il proprietario della libreria mi ha ricordato uno dei personaggi dei racconti di Carver. Un uomo abbastanza comune, senza passioni particolari che si è ritrovato suo malgrado su quell’isola per vivere il sogno della moglie. La moglie, Nic, è però morta in un incidente stradale lasciandogli una passione senza scopo e una dipendenza dall’alcool. Anzi, da come tratta Amelia due pagine più giù, sembra che Mr. Fikry i libri li odi perfino. La narrazione sembra rallentare (o forse rallenta solo la mia lettura), ma continuo perché inizio a trovarci tanti consigli di scrittura (e non solo); inoltre ogni capitolo è intitolato col nome di un racconto di un autore noto. Racconto, non romanzo. E l’autrice spiega attraverso uno dei protagonisti come la sua stima si volga imperitura ai produttori dei primi, perché il racconto deve autoconcludersi in poco tempo e spazio e richiede all’autore una maestrìa non comune. Checov per esempio, per tutta la vita ha scritto solo racconti. Pregevoli, veloci, guizzi di ironia e sagacia pescate nel quotidiano. Ma torniamo al libro in questione. L’inizio di ogni capitolo non solo ha il titolo di un racconto, ma di questo A.J. Fikry, il burbero proprietario della libreria, ne firma una recensione. Sono curiose e divertenti, ma soprattutto, si scoprirà molto oltre, hanno un unico destinatario oltre il lettore. A pagina 60 arriva la svolta. Perché Mr. Fikry una mattina, al rientro dal running quotidiano, realizza che qualcuno si è intrufolato in libreria e vi ha lasciato una bambina. La scrittura inizia l'impennata, i dialoghi pure. È un libro che parla di altri libri, ma che li lascia così in superficie che il loro ordine confuso non infastidisce. Negli ultimi due giorni ho accelerato la lettura al punto che d’un fiato l'ho terminato. In ogni pagina nella seconda metà sembrava esserci un riferimento personale. E forse questo fanno i libri che diventano classici. Riescono a parlare alle persone in ogni tempo e grazie a questo alimentano la propria notorietà col semplice passaparola. Parlano a tutti un po’ di loro stessi, come se l’autore avesse potuto sbirciare nella vita del lettore e avesse colto esattamente quel mattoncino che ne fa vacillare l’equilibrio. Ci ho trovato perfino quel Carver di cui avevo sentito fin dalle prime pagine l’aria pregna di vissuto, come quella di una casa i cui odori di cucina si diffondono ovunque e si attaccano ai vestiti. Di Carver, per inciso, me ne sono occupata nella tesi di laurea discussa il 21 ottobre del 2008. Una data non vuole dire nulla, ma a me il 21 dice tanto. Dopo la parola fine in questo romanzo ci ho trovato, tanto per riderci su, perfino un unicorno. Non vi dirò quale passaggio del libro mi ha commosso fino alle lacrime perché lo sento privato e perché qualcuno non molto tempo fa mi ha detto che le cose importanti vanno trattenute un po’ di più per non togliergli energia. Polvere magica, dico io. Forse un giorno nasconderò quella frase in un romanzo. Fino ad allora però ve ne lascio un’altra. Perché la bravura di uno scrittore, per me, è farti credere di parlare di libri mentre in verità ti sta parlando della vita. “Che differenza c’è tra un libro e l’altro? Sono diversi perché lo sono - decide. Bisogna leggerne molti, bisogna crederci, bisogna accettare che ti deludano, perché qualcuno, di tanto in tanto, ti possa entusiasmare”. #gabriellezevin #lamisuradellafelicità #libridaleggere #lholettoeloconsiglio volte più che di persone, abbiamo bisogno di parole nuove per definire meglio il mondo che ci circonda o per definirci; come se, arricchendo il modo di descrivere noi stessi creassimo una nuova sfaccettatura al diamante che siamo.
Le figure retoriche, sarà perché traggono la loro origine dal passato più remoto, mi affascinano in modo particolare. Sono modi altri e alternativi di definire un accadimento, una realtà, deviazioni dal discorso principale che aggiungono insoliti punti di vista. Vi capita nel quotidiano (spero di sì) di provare percorsi alternativi mentre semplicemente ci recate da un posto a un altro, magari al lavoro o in palestra, a casa? Quanti panorami nuovi siete disposti a scoprire? È solo in questo modo che si allargano le vedute sul reale (uso non a caso la citazione del titolo di un libro di Gurdjieff che occorrerebbe tornare a leggere e studiare almeno una volta l'anno). Tra le cose più belle che mi stanno capitando in questo periodo c'è che qualcuno si sta prendendo cura delle mie parole. E mentre lo fa, dando l'idea di intagliare diamanti (che volete, ho una predilezione per i preziosi in questo momento) gli capita perfino di insegnarmi cose nuove. Una fortuna che proprio non avrei osato sperare. Ed è così che da qualche giorno mi rigiro in testa endiadi, la figura retorica che sta a rappresentare una coppia di parole unite dalla congiunzione "e". Da sole i singoli elementi dell'endiadi hanno già significato pieno e autonomo, solitamente hanno significati simili, ma l'endiadi le rinforza, come se fosse questa unione a farle scintillare di più. Nella lingua parlata gli esempi più comuni sono "fare fuoco e fiamme" oppure "dirlo chiaro e tondo". Mi sono spinta oltre. Ho scoperto che c'è una figura retorica costruita su tre elementi, endiatri in questo caso, il cui significato però è diverso, perché le parole, ancorché in relazione, costituiscono un elenco in cui i significati sono ben distinti tra loro. Tra le endiatri più note c'è il motto olimpico: più veloce, più in alto, più forte. Anche noi esseri umani siamo endiatri che si reggono su una combinazione più o meno perfetta di tre elementi in costante e reciproca comunicazione: mente, corpo, spirito. In questa scoperta di parole e prospettive nuove anche l'Amore muta i termini per descriversi. Siamo endiatri che cercano un'altra per meglio definirsi e dare vita a una endiade che faccia scintillare ciascuna un pizzico di più. |
Alessandra NennaSogno. Archivi
Gennaio 2024
HomeVoce ai personaggi (il podcast del romanzo)
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Evolvete, ma portatevi dietro il cellulare A prova di decreto Conta che ti passa Re Magi. Quando arrivano, arrivano Manic Monday Meucci contro Zuckerberg Angurie gemelle Il pittore e i biscotti "5 stelle" Incontrare l'Amore al Supermercato Come ti addobbo una cheesecake Valencia a modo mio |